Sleep Technique è l’ultimo lavoro della compagnia Dewey Dell ed è una risposta alla caverna di Chauvet-Pont d’Arc in Ardèche (Francia). Questa performance unisce danza, musica e archeologia in una dimensione rituale, sciamanica, primitiva.
La caverna platonica
Il mito della caverna di platonica memoria è spiegata in ogni liceo come il mito che svela la finzione del mondo; ma ci sono letture che vedono in questo mito una metafora del teatro: ci sono delle persone (regista) che muovono delle marionette (attori), che a loro volta proiettano delle ombre (personaggi) sul fondo della caverna (il palcoscenico), e ci sono dei prigionieri legati costretti a guardare (il pubblico, che fortunatamente non è legato).
E così, anche questa performance è in una caverna, il luogo primordiale per eccellenza, la nostra prima casa, il nostro primo luogo di socialità, il nostro primo teatro.
Il corpo nella caverna
Il corpo dei quattro performer (Agata Castellucci, Teodora Castellucci, Ivan Björn Ekemark, Enrico Ticconi) risponde in maniera uguale e contraria: è un corpo primitivo su una musica elettronica martellante. Il corpo abbandona il gesto formale e diventa strumento per raccontare qualcosa al di là della gestualità codificata: allora la paura non è più l’irrigidimento del corpo e il portarsi le mani sul volto, ma un corpo contorto, strisciante. Il corpo è primitivo nel senso di totalmente libero, fuori da ogni codice, e non di corpo barbaro. L’energia che vi scaturisce richiama la dimensione dei riti sciamanici: inaccessibili, incomprensibili ma con una forza tale da travolgere in maniera totale, come la musica.
Le musiche di Demetrio Castellucci e Massimo Pupillo (degli Zu) plasmano i corpi, li spingono a esplorare lo spazio e la fisicità: suoni martellanti, ruggiti alternati a dei tamburi, bassi continui, suoni che investono direttamente la platea, creano un’atmosfera carica di tensione. L’aspetto più interessante è notare come una musica così contemporanea, di sperimentazione e tecnologica non stoni con questa atmosfera rupestre, ma anzi la completi e vada in totale sinergia con i performer.
Fuori dalla caverna
Dopo aver attraversato la Skull Chamber, la End Chamber, la Hillaire Chamber, la Candle Gallery, la Chamber of Bear Wallows e la Brunel Chamber in sei quadri di una bellezza stupefacente, si arriva all’ultima parte: la Entrance Chamber. Qualcosa o qualcuno sembra richiamare i personaggi verso l’esterno, alla scoperta del mondo della realtà e verso il sole (per restare nella metafora del mito platonico). E allora escono, uno alla volta, scomparendo nello squarcio sul fondo scena, per concludere (o continuare?) il dialogo con noi, homo sapiens sapiens.