Prosa
SOGNO DI UNA NOTTE D'ESTATE

Sogno di una regia d'estate

Sogno di una regia d'estate

C'è un ambiente surreale, e quinte sospese, o meglio appese a mollette da bucato rosse, una piccola orchestra di accompagnamento sul fondo, vestiti dalla dominanza cromatica rossa quasi moderni, salvo i mantelli che richiamano l'antica nobiltà: appare così, con un tocco subito elegante, la scena del Sogno di una notte d'estate riletta da Carlo Cecchi (il titolo è stato modificato in tal senso dalla traduttrice, la poetessa Patrizia Cavalli).

Entrano la compagnia ed il capocomico, nella riproduzione di quella che è la scena di norma meno commentata e considerata, fra le tre dell'intreccio shakespeariano, nella quale una compagnia sgangherata di artigiani intende mettere in scena una rappresentazione più che dilettantesca sul tema di Piramo e Tisbe, ed è quella scelta dal regista per ritagliarsi la sua parte, trasferendo peraltro l'ambiente in linguaggio pressappoco vernacolare, che risulta quasi un'incursione fra i suoi allievi.

L'idea infatti è stata quella di portare in scena il saggio di diploma degli allievi attori dell'Accademia "Silvio D'Amico" del giugno 2009, e non nasconderò che il primo impatto è stato vagamente, e per principio, dubbioso: di Shakespeare se ne sono visti, giocati e trasformati più che ogni altro autore, per ovvi motivi (il primo ricordo infatti vola subito a Peter Brook, alla sua scatola bianca vuota ed alle fate maschili che si esibivano al trapezio), e così la prima domanda che spesso ci si pone è se ognuna di queste riproposizioni abbia un senso almeno filologico, attraverso mezzi, linguaggi ulteriori che ne facciano risaltare significati che così disvelano l'essere universale del testo, oppure non siano soltanto un ritmo di vestiti e trovate cangianti che semplicemente si indossano, come se le Ninfe del Sogno declamassero il loro essere Ninfe senza tanto accorgersi di avere un vestito rosa anziché verde, mentre magari gli avrebbe donato di più quello da Ninfa.

Ma qui il dubbio dura poco.

Il loro richiamare quasi un gioco infantile, il Puck versione fantasy-punk, il bosco sempre acceso di colori sgargianti, brillanti, un accento forte sul luccichìo, sul salto e sul colorare che fanno quasi ricordare le moderne trasmissioni televisive per i bambini, questo modo di incontrare le visioni come se gli occhi fossero sempre spalancati come i loro, ecco, tutto restituisce un senso che fa pensare di aver trovato dentro Shakespeare una serie di spot gioiosi come magari sarebbe potuto essere stato nelle situazioni buffe e comiche (perfino quando inciampano nel tappeto d'erba) della commedia fantastica concepita all'epoca, giocose e magiche, piene di finzione quanto di incanto ed equivoci, led luminosi nei quali restano catturate le invenzioni del Bardo. Delizioso e geniale.

Un sogno divertente e divertito, quello di Cecchi, e contemporaneamente solido e deciso come i suoi colori, come i suoi costumi ed i suoi movimenti, come la festa dei matrimoni attesa dopo il pericolo dello scambio di coppie fra Lisandro, Demetrio, Ermia ed Elena, ma anche leggero, come devono essere state agli occhi di Shakespeare le contaminazioni delle Metamorfosi di Ovidio e dell'asino d'oro di Apuleio.

Visto il 18-11-2011
al Bellini di Napoli (NA)