Prosa
SORELLE DI SANGUE. CRISOTEMI

Falerone (AP), teatro romano,…

Falerone (AP), teatro romano,…
Falerone (AP), teatro romano, “Sorelle di sangue. Crisotemi” da Ghiannis Ritsos ed altri IL SILENZIO E' L'UNICA FORMA DI LIBERTA' Ghiannis Ritsos fu più volte, nel corso della vita, deportato e torturato e solo in seguito alle proteste internazionali fu posto negli anni Settanta in libertà vigilata nell'isola di Samos. L'andamento discorsivo dei suoi testi dal 1956 in avanti trova forma compiuta in un modulo vagamente teatrale, basato su durata ed accumulazione e valorizzato in tematiche che risultano nuove nella sua produzione. In Fedra, Ismene, Elena, Crisotemi la memoria del poeta si identifica con quella dei personaggi mitologici, uomini e donne che si sottraggono fino alle ultime conseguenze a un destino governato dagli dèi, oppure antieroine che, proprio per la loro rassegnazione ed il timore dell'azione, sono scelte a rappresentare i deboli, invero protagonisti dell'intera vicenda umana. Come Crisotemi, figlia di Agamennone e Clitemnestra, sorella di Ifigenia, Oreste ed Elettra. Una donna che si è costruita un mondo tutto suo per proteggersi, per poter sopravvivere in una casa in cui il sangue dei familiari scorre a fiumi (“non aprite mai porte in questa casa” perchè “i marmi sudano sangue”). Crisotemi osserva per ore il riflesso dei gambi dei fiori immersi nell'acqua di un bicchiere. Oppure interpreta il comportamento degli altri secondo propri codici personali che in verità ne alterano la sostanza ed i fini ma che permettono alla donna di immunizzarsi, di rendersi quasi invisibile ai familiari e a se stessa, sperando di esserlo anche per il destino e attraversare così la vita senza contraccolpi: “nessuno si ricorda mai di me, nessuno si è mai accorto di me; io non mi lamento di ciò, anzi, a pensarci, è meglio così. (...) Era bello, come se fossi vissuta fuori dalla storia, in un mio spazio protetto ma al tempo stesso presente”. Crisotemi-Ritsos ha ben compreso che “il silenzio è l'unica forma possibile di libertà” e che “sono inutili e talvolta pericolosi remi, timoni e bussole”. La letteratura parla solo per accenni di Crisotemi; Ritsos ne fa un emblema di ignavia, di fronte ai comportamenti attivi dei familiari, ma al tempo stesso la identifica con tutta un'umanità che assiste, attonita ed impotente, a una vita violenta e priva di razionalità. “Io non vorrei esistere in un simile mondo” dice Crisotemi mentre “lava, sfrega il pavimento per lavare il sangue eterno del delitto”. I ricordi sono presenti e veritieri: Ifigenia sgozzata, il padre lontano, il delitto di Clitemnestra, Oreste inseguito dalle Erinni. Crisotemi è l'unica superstite della casa, “il luogo dei nostri morti” dove il peso del destino mantiene “le camere inchiodate”. Ma gli anni sono passati e Crisotemi non se n'è accorta, vivendo sempre nell'ombra con “un sorriso antico appeso dentro di noi”: “restiamo soli con invisibili travagli, in invisibili guerre con invisibili nemici e, al tempo stesso, con folle di invisibili amici”. Elisabetta Pozzi è autrice della drammaturgia da Ritsos, Hofmannstahl, Eschilo e Sofocle, mantenendo la riconoscibilità dei singoli autori e al tempo stesso fondendoli in un testo appassionante, coerente e scorrevole, che si lascia seguire con partecipazione razionale ed emotiva, pur in assenza di un vero e proprio andamento narrativo. È come osservare la trama di una stoffa perfettamente tessuta ma dove lo sguardo riesce a catturare i singoli fili che compongono la trama, differenti per colore e consistenza ma mischiati con estrema maestria. Le musiche di Daniele D'Angelo sottendono efficacemente per tutto il tempo la parola con suggestioni elettroniche, violoncello, pianoforte ed orchestra, amplificando quello che è il potente riverbero nell'anima della forza ancestrale del mito. Elisabetta Pozzi è di una bravura stupefacente, sa rendere ogni piega delle parole di Ritsos, dopo la frequentazione di Fedra, Elena e dei testi ricompresi ne “Il funambolo e la luna”; è epica e lirica, potentemente tragica, intima e familiare, disincantata e lucida, sognante e incredula. Accanto a lei quattro danzatrici-replicanti (più efficace sarebbe stato vestirle con abiti uguali alla protagonista) amplificano i gesti di Crisotemi, a volte la ostacolano, a volte la coadiuvano, sulle coreografie di Aurelio Gatti. La Pozzi è talmente padrona della scena e del testo, talmente pronta a cogliere ogni suggestione ambientale che anche il rumore assordante di una moto entra nello spettacolo. Qualche problema alle luci non ha tolto la minima forza a una performance intensissima. Pubblico rapito: in tanti hanno aspettato che la Pozzi uscisse dai camerini per ringraziarla e complimentarsi. Visto a Falerone (AP), teatro romano, il 12 luglio 2008 Francesco Rapaccioni
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al Romano di Falerone (FM)