Prosa
SORELLE MATERASSI

Le instancabili comari di Coverciano

Le instancabili comari di Coverciano

1918, borgo di Santa Maria a Coverciano a Firenze: Carolina e Teresa Materassi (Milena Vukotic e Lucia Poli) sono due  mature sorelle, rimaste zitelle perché hanno dedicato la propria vita al lavoro di ricamatrici Lo spettacolo si apre con un sogno che spiega l’antefatto della commedia: le attrici guadagnano la scena come timide ombre sovrastate da un papa per il quale hanno confezionato una stola. E al quale Teresa “spiattella” i panni sporchi della famiglia: un padre farfallone, che aveva sperperato tutti i propri beni e una terza sorella, Giselda (Marilù Prati), ripresa in casa con loro dopo un matrimonio naufragato.

Subito dopo, ecco le due indefesse lavoratrici sul palcoscenico alle prese con la loro (redditizia) attività di ricamatrici di corredi da sposa e biancheria di lusso per la borghesia benestante.
Parlano di Remo (Gabriele Anagni), il figlio ormai ventiduenne, di una quarta sorella defunta ad Ancona, che ormai da alcuni anni è stato preso in caso sotto le loro cure. Il ragazzo, bello e spregiudicato, risveglia nelle mature zie, sentimenti che parevano sopiti dalla confortante noia della provincia. E, approfittando della situazione, soddisfa senza ritegno tutti i suoi capricci, precipitando il ménage familiare in un'imbarazzante situazione senza via d’uscita.

Solo Giselda si rende conto della reale situazione, ma i suoi avvertimenti – scambiati per continue lamentele, dettate, a dire delle altre due sorelle, da una forma d’invidia – rimangono inascoltati. Lei allora decide di andarsene per la propria strada, mentre i debiti di Teresa e Carolina aumentano, finché le due sorelle sono costrette a vendere la casa e i terreni ereditati dal padre e  mantenuti con la fatica del proprio lavoro.
Accanto a loro rimane, fedele, la governante Niobe, simbolo della saggezza delle campagne toscane, interpretata con genuina bonarietà da Sandra Garuglieri.

La garbata regia di Geppy Gleijeses, riducendo al minimo i personaggi (sette), “dipinge” un affresco in stile “piccolo mondo antico” di provincia (tutto italiano), nel quale lo stesso regista e il pubblico entrano “in punta di piedi”; ne scaturisce, però, un ritmo piatto, spezzato solo dalla verve interpretativa delle interpreti femminili (in particolare, le felici “modulazioni” di voce di Lucia Poli e le lamentele piuttosto canterine di Marilù Prati, ndr.).

Tutte le registrazioni in sottofondo – dalle scene di chiasso della campagna, al rumore dell’automobile di Remo, fino al tipico cicaleccio, immancabile nella scena del matrimonio con la donna americana (Roberta Lucca) si inseriscono quasi forzatamente in un allestimento dal sapore velatamente  cechoviano, anche grazie alla scena di Roberto Crea, con vista, dall’interno, di un maestoso albero che, realisticamente, richiama la presenza di un giardino.

Visto il 01-02-2017
al Carignano di Torino (TO)