Scritta nel 1974 da Dario Fo e Franca Rame e messa in scena alla Palazzina Liberty di Milano Non si paga! Non si Paga!, una chiara denuncia del caro prezzi degli anni '70 ebbe molto successo, tanto che Fo riprese lo spettacolo per due stagioni consecutive.
La storia che vi si racconta è molto semplice: Antonia ha fatto razzia di prodotti alimentari in un supermercato durante una manifestazione di protesta. Per nascondere la merce prima al marito Giovanni, operaio iscritto al Pci e legalitario, e
poi alla polizia che sta perquisendo tutte le case della zona, Antonia improvvisa via via delle bugie sempre più incredibili (come lo stato interessante della sua amica Margherita la cui pancia nasconde in realtà parte della merce espropriata) che generano una seria di comici e surreali equivoci. Poi, quando Giovanni apprende di essere stato messo in cassa integrazione, mentre la polizia sgombera brutalmente dei senzatetto di fronte casa , anche Giovanni si ribella, andando contro le direttive del partito e unendosi alla protesta.
Al suo debutto, il testo di pura fantasia, venne superato dalla realtà: (ci furono donne e uomini all'assalto dei supermarket dove decidevano da soli il prezzo della spesa alcuni citando addirittura le parole di Franca in scena in quella prima versione1 dimostrando come Non si paga! Non si paga! colpisse nel segno denunciando i guasti di un Paese nel quale la sperequazione economica è sempre stata all'ordine del giorno. Eppure ci fu chi, allora, indicò Dario Fo e Franca Rame come i "veri ispiratori morali del reato", come fece Indro Montanelli dalle pagine del Giornale Nuovo.
Negli anni il testo è stato tradotto in molte lingue e allestito dai più importanti teatri
d’Europa e del mondo, da più di duecento compagnie2. E, ancora oggi, Ugo Volli, in occasione della ripresa dello spettacolo a Rubiera, presso Modena, ha parlato dello spettacolo, sulle pagine di Repubblica in termini di: esaltazione dell'illegalità di massa, denuncia del mercato come «arraffamento dei padroni», oscure promesse o minacce rivoluzionarie; esaltazione dell'«autonomia», del prendersi le cose da sé. Chi sostiene che la legge vada
rispettata fa la figura dell'imbecille o del «servo dei padroni». Sembra di sentire parlare gli ultimi relitti delle Br al processo Biagi.
Parole grosse per un testo che è principalmente una farsa e, come ogni farsa, ha maglie larghe e un gusto spicciolo, non raffinato.
A una visione distratta e superficiale anzi, in alcuni momenti, potrebbe sembrare di assistere a certi pastoni televisivi di satira contemporanea.
Avendo tempo e modo si dovrebbe analizzare come Non si paga! Non si Paga! si andava a inserire nella ricerca politica che Dario Fo conduceva in quegli anni e di come quel testo fosse, apparentemente, un passo indietro, verso forme teatrali più consuete e già percorse da Fo negli anni '503.
In realtà Non si paga... è uno dei testi di "intervento diretto" più riusciti di Fo, che innesta sulla struttura della farsa felici e precise riflessioni sui rapporti di potere politici (il discorso del poliziotto che viene a perquisire casa il quale ammette, in confidenza, di "comprendere" la spesa proletaria e che sarebbero altri i furti da perseguire, scandalizzando Giovanni), economici (le fabbriche si aprono solamente per usufruire degli aiuti di Stato come racconta Luigi, il marito di Antonia, a Giovanni) prendendo posizione contro il sessismo (Giovanni mentre cucina da solo miglio per canarini e teste di coniglio, ammette di comportarsi con la moglie come i padroni si comportano con gli operai) e contro l'inquinamento. Per essere un testo del 1973 si rimane colpiti dalla lungimiranza.
E le parole di Volli sono la reazione di chi crede di dover difendere un sistema economico come quello capitalistico che proprio in questi gironi sta mostrando tutta la sua dissennatezza.
D'altronde che sia uno spettacolo importante e non superficiale è dimostrato dalla sua incredibile attualità. Infatti il lavoro di aggiornamento e riscrittura compiuto da Dario Fo per questo allestimento ha avuto il solo scopo di riallacciare il discorso all'attualità, come ha spiegato Fo stesso sul palco, in un breve preambolo prima dell'inizio dello spettacolo, al Valle di Roma, perché la satira di questo vive, ma la struttura narrativa è la stessa, le denunce di fondo, identiche.
Noi si denunciava allora l’arraffo spietato dei produttori e del mercato che impunemente aumentava i prezzi delle merci… eravamo nel ’75. Oggi, nel 2008, ci ritroviamo un’altra volta allo stesso punto, anzi peggio: in trentadue anni il costo della spesa è addirittura triplicato, mentre la paga è rimasta più o meno la stessa, e in certi casi il potere d’acquisto è letteralmente rollato.4
Insomma mentre la satira contemporanea arranca dietro vuoti cliché, un attempato signore di 82 anni, premio nobel per la letteratura, è ancora lì, a combattere, a fare critica, a dare voce a un dissenso sempre più urgente, avvertito però da sempre più persone come inutile, non necessario, superfluo.
E, ha spiegato Fo, l'urgenza è talmente grave da aver indotto a cambiare il finale anche rispetto a questa nuova versione "aggiornata", per cui i personaggi alla fine, dopo un'invettiva detta direttamente al pubblico, nella quale si denunciano alcuni dei mali politici che ci affliggono oggi, a differenza del testo "rivisto" pubblicato da Einaudi, diventano parte del Quarto Stato di Pelizza da Volpedo ridipinto da Dario Fo col suo stile inconfondibile, che fa da fondale di proscenio. Appiattiti e immobilizzati, diventati parte di un quadro, i personaggi della commedia a differenza del popolo ritratto nel quadro nell'atto di distaccarsi dalle quinte della storia per scendere in campo diventando parte attiva dell'agire politico, si riducono a dei meri segni su di un dipinto.
Una regressione totale, inevitabile e drammatica.
Forse sarebbe stato opportuno qualche taglio qua e là ma bel riprendere il testo per coadiuvare gli attori nell'arduo compito di riprendere dei ruoli interpretati da Dario Fo e Franca Rame. Se ne è accorto lo stesso Fo regista cercando di dare a Marina Massironi, nel ruolo che fu di Franca Rame, un registro completamente diverso, tanto flemmatica e indolente era Franca quanto nervosa e logorroica è Marina, mentre Antonio Catania, nel ruolo che fu di Dario, si adegua al registro di Fo attore e ne riprende, a modo suo, lazzi, sberleffi e gesti. Un confronto d'altronde inevitabile dato che il testo nasce come spettacolo cucito addosso alle doti
attoriali dei suoi due primi interpreti. Bravo e dalle notevoli doti ginniche Sergio Valastro che interpreta il poliziotto "di sinistra", il carabiniere, il becchino e il padre di Giovani, tutti ruoli (tranne quello del carabiniere) già impersonati da un unico attore nella prima versione dello spettacolo.
Alla fine della commedia, Dario Fo è salito nuovamente sul palco a prendersi gli applausi meritati e chi scrive non ha potuto non provare un senso di nostalgia per il tempo in cui Dario Fo e Franca Rame calcavano ancora le scene e tutti si sperava in un mondo migliore...
Sotto paga! Non si paga! Teatro Valle, Roma dal 14 al 26 ottobre 2008
1) Dario Fo dalla cartella stampa del Teatro Valle
2) Dario Fo Commento alla critica di Ugo Volli - La Repubblica 31.12.07 sul sito Dariofo.it ora anche in Dario Fo Sotto Paga! Non si Paga! Einaudi, Torino 2008.
3) cfr. Chiara Valentini La storia di Dario Fo Feltrinelli, Milano 1977 pp. 158-159
4) Dario Fo Commento alla critica di Ugo Volli - La Repubblica 31.12.07...
Visto il
al
Piccolo Teatro - Teatro Strehler
di Milano
(MI)