Prosa
SPALLE AL MURO

Spalle al muro: quando il teatro diventa attualità

Spalle al muro: quando il teatro diventa attualità
Un marito disoccupato, una moglie malata di cancro. Un figlio dedito alle droghe, ma per caso, per cattive compagnie (un'organizzazione politica di destra), rapporti tesi tra padre e figlio, migliori con la madre mediatrice naturale. Uno spacciatore sempre fatto che deve un mucchio di soldi e si rifà sul figlio della coppia. Il ragazzo, non ancora maggiorenne, finisce in carcere, due volte. La prima per aver partecipato al pestaggio di un extracomunitario (musulmano) la seconda in seguito a una retata della polizia (chiama dal padre che non sapeva che pesci pigliare). Lo spacciatore minaccia prima la madre e poi il padre. Se non gli danno un mucchio di soldi succederà qualcosa a loro figlio anche se è in carcere... Non si può dire certo che il plot di Spalle al muro di Alessandro Fea brilli per originalità. Pesca da un immaginario collettivo diffuso, codificato in parte dal tanta fiction (televisiva e non solo) e in parte da certa stampa, più attenta ai dettagli da gossip che alla sostanza sociale e politica di quanto riporta. A Fea non interessano cause o dinamiche sociali, non vuole spiegare, né descrivere una situazione, non vuole nemmeno raccontare una storia, vuole piuttosto mostrare una dinamica, l'esito al contempo innaturale e dannatamente attuale di alcuni problemi nella nostra società organizzandoli come fossero il racconto di un film (americano) serrato, organizzando la scena per stazioni che si ripetono (casa dei genitori, il carcere, il luogo di incontro con lo spacciatore), con un ritmo sempre più parossistico, sopra le righe, ma, al contrario, e purtroppo, molto più aderente alla realtà di quanto lo stile del racconto presupponga. Attuale, icastico, Spalle al muro si conclude lasciando lo spettatore con un senso di urgenza, di ribellione, di protesta, ma, anche, di frustrazione, di impotenza, di umiliazione. Gli attori reggono bene lo sforzo richiesto dal testo, soprattutto per il giovane Fabrizio Falco che ci emoziona perché sa emozionarsi lui per primo, quando chiama la madre mentre gli aggressori, in carcere, si avvicinano inesorabilmente... Un testo che ha la sua ragion d'essere in una società che non difende più i propri figli dentro (e fuori) le carceri, e che non sostiene più le famiglie in difficoltà economica. Un testo che si consuma tutto nell'attualità di quanto riporta (denuncia?) alla quale è così aderente da sembrare quasi un istant play (se perdonate il brutto neologismo). Uno spettacolo la cui collocazione ideale è proprio una rassegna di drammaturgia ed infatti ha aperto, insieme a Il pigiama di Daniele Prato, la VI edizione di LET Liberi Esperimenti Teatrali.
Visto il 13-01-2010
al Cometa Off di Roma (RM)