SPARA, TROVA IL TESORO E RIPETI

Un'epopea contemporanea

Un'epopea contemporanea

Partiti da una ricerca teatrale vicina al teatro Post-Drammatico (teorizzato da Hans-Thies Lehman) caratterizzato da assenza di sintesi, avversione per la compiutezza (tipica del manierismo) tendenza all'estremismo, alla deformazione, al paradosso e al disorientamento, all'organizzazione dei segni teatrali in maniera non gerarchica ma simultanea, e alla costruzione dello spettacolo attorno all'attore visto come performer; (almeno così secondo Gerardo Guiccini nel saggio Gli artefatti, Arcuri, gli autori. E se parlassimo di Post-regia? presente nel corposo e prezioso dossier per la stampa) in tempi più recenti l'Accademia degli Artefatti ha lentamente sostituito l'attore-immagine con l'attore parlante. Nelle recenti produzioni dell'Accademia infatti l'attore condivide (sempre secondo Guiccini) col pubblico il propriorapporto col testo senza nascondere quel processo di ricerca adattativa tra il testo e se stesso ma rendendo quel processo parte integrante della messa in scena. Elemento fondamentale da tenere presente per non fraintendere il particolare disincanto (straniamento?) con cui gli attori si sono avvicinati al polittico di testi che compone Shoot/Get Treasure/Repeat di Mark Ravenhill tradotto per L'Accademia da Pieraldo Girotto e Luca Scarlini. L'Accademia approccia questi testi secondo una precisa estetica performativa: le messe in scena sono delle vere e proprie istallazioni a cominciare dallo spazio scenico che è costituito dalla stessa struttura, impiegata di volta in volta in maniera diversa, con una forte componente tecnologica l'amplificazione audio, quando serve, e le riprese video, che diventano parte integrante della messa in scena ma che non si sovrappongono né si sostituiscono mai all'attore, che ne rimane la componente centrale. Spara, prendi il tesoro, ripeti di Mark Ravenhill è un "ciclo epico di pezzi brevi" che si costituisce come unlucido e articolato affresco sullo scontro tra Occidente e Oriente, e sulle perversioni e le paure provocate dalla cosiddetta ‘guerra al terrore’ condotta dalle potenze occidentali. 17 pièces, ispirate ad altrettante opere teatrali, poemi, libri e film, della cultura occidentale (Le Troiane, La guerra dei mondi, Paradiso perduto, Odissea ecc.) Il regista Francesco Arcuri ha affrontato questo corpus di testi come messa in scena multipla presentandosi al pubblico romano con una ricca e nutrita kermesse: 8 testi diversi, in cinque serate consecutive (più una replica pomeridiana), alcune sere con un doppio spettacolo a distanza di due ore, una proposta teatrale che, in altre piazze, l'Accademia presenta anche con altri atti unici, dieci in tutto. Un allestimento impegnativo anche per il pubblico lo spettatore infatti ne può vedere uno o tutti, ma più se ne vedono più si ricostruisce il mosaico e si ha una visione tridimensionale di questo tentativo di epopea contemporanea (Fabrizio Arcuri Repubblica 8 Febb. 2010). Dopo avere assistito all'intero ciclo proposto si rimane impressionati per la valenza complessiva degli spettacoli i cui rimandi interni, tra i testi di Ravenhill, e tra i personaggi interpretati degli attori (e delle attrici) dell'Accademia creano legami di senso che mancano a chi ha assistito a uno o pochi spettacoli. L'approccio ludico, disinvolto, (auto)ironico della recitazione degli attori porta il pubblico (sempre meno abituato a pensare in tempi lunghi e capace solo di leggere il dato immediato) a ridere anche di stilizzazioni, contesti e rimandi che avrebbero meritato ben altre reazioni ma sono reazioni su cui L'accademia conta ottenendo così anche dal pubblico, suo malgrado, la dimostrazione della dissoluzione di una società e di una cultura annegata in frasi retoriche in valori feticcio (Libertà e Democrazia) ormai completamente svuotati di ogni significato. Un'operazione complessa, faticosa (per gli attori che la interpretano) e costosa (tra scene e numero di attori impiegati) che è stata premiata da una sala gremita ma, fossero tempi diversi in cui la cultura fosse vista come una forma di panem e non come circenses, avrebbe meritato una programmazione di più ampio respiro perchè il teatro dell'Accademia degli Artefatti è un teatro squisitamente politico da vedere e mostrare perchè costituisce per il pubblico una indispensabile iniezione di senso critico in una società prossima alla morte cerebrale.

 

Delitto e castigo Dentro una struttura scenica che li rinchiude completamente, attraverso un vetro che, prima dell'inizio della pièce, non illuminato dall'interno, è opaco, assistiamo all'interrogatorio di una giovane donna, al di là del vetro, e dunque amplificato da microfoni. Alcune telecamere riprendono l'interrogatore e l'interrogata proiettando nella parete di fondo della struttura scenica le loro immagini, da diversi punti di vista, che cambiano a seconda del momento. L'uomo fa parte del contingente delle forze di liberazione, la donna è un'autoctona. L'interrogatorio indaga prima sulle vicissitudini del dittatore destituito del luogo, poi sulle vicende personali della donna che ha perso marito e figli ma virano ben presto nel personale perché l'uomo, il liberatore, schiacciato dalla dolore di non essere amato si aggrappa all'amore per la donna con tutto se stesso. E in nome di questo bisogno di amore, naturalmente non corrisposto, arriva a minacciarla, a spararle, a tagliarle la lingua. Un testo durissimo quello di Ravenhill che mostra la vuotezza del maschio occidentale tutto compreso da un bisogno di essere amato che non può trovare soddisfazione esterna essendo un bisogno di autostima, di amore di sé ,che è completamente assente. La messa in scena di Arcuri è spiazzante perchè mostra l'azione dentro uno spazio altro al quale possiamo assistere grazie ala trasparenza di un vetro (e alle proiezioni video). Così gli spettatori diventano voyeur e complici rispecchiandosi in quel che accade nella sala d'interrogatorio. Il finale con le note di The Power of Love dei Frankie Goes to Hollywood mentre due insegne al neon, forgiate coi nomi usa e iraq, calano sulla parete di fondo e un vento gonfia le bandiere di quei due Stati, comparse subito dietro il vetro, intanto che l'uomo cerca invano il coraggio di suicidarsi, è retorico, da anni ottanta, ma in perfetta linea con questi tempi di abbellimento mediatico del reale, pacchiano e retoricissimo. Il testo viene restituito dai due attori attraverso una innaturale ricerca della frase, del tono, un'operazione mai troppo esplicita, ma che che spiazza comunque lo spettatore, abituato a una recitazione più naturalistica contribuendo a un senso di straniante intrusione, intrusione dello spettatore in uno spazio cui gli è chiesto apparentemente solo di osservare ma il cui atto di mostrazione è in realtà una accusa durissima cui nessun spettatore può sottrarsi. I riferimenti con il testo di Dostoevskij risiedono qui solamente nel titolo (mentre altrove tra storia originale e pièce si instaurano vere e proprie sinergie). Interpretazione efficace dei due attori con una piccola nota critica per Caterina Silva che non scandisce le parole teatralmente col risultato che non sempre si capisce quel che dice.

Spara/trova il tesoro/Ripeti Delitto e castigo Con Fabrizio Croci, Caterina Silva Video: Lorenzo Letizia Ambiente luci: Diego Labona, sonorizzazioni: Gerardo Greco Scene Adrea Simonetti, Claudio Petrucci Costumi Ginevra Polverelli Trucchi Alessandra Romani Una produzione Accademia degli Artefatti09/teatro Metastasio Stabile della Toscana

Paradiso perduto Cosa succede se una condomina nevrotica e sola scende dalla vicina del piano di sotto per lamentarsi delle urla che la tengono sveglia alle 3 di notte? Nelle mani di Ravenhill ne scaturisce un racconto beffardo e agghiacciante. Liz una donna che parla a gesti, in ritardo, esitando prima di dire le parole, si rivolge a Ruth, la vicina nel cui appartamento si trova, della quale il pubblico non si accorge subito perchè Ruth è sdraiata su un divano rivolto al pubblico dal lato dell'alto schienale, che ne nasconde la presenza (tanto che all'inizio pensa che Liz parli da sola). Liz, suo malgrado, non si limita a chiederle di non far rumore, ma le racconta di sé, della sua vita nevrotica di hostess. Poi Liz si accorge dei lividi e delle bruciature che Ruth ha indosso: è caduta? Sono i segni di incontri sessuali estremi? Il suo uomo la picchia? Liz si commuove, la consola, ma quando Ruth in ginocchio la implora di non andarsene si sottrae dicendo che non vuole farsi coinvolgere. Solo allora due uomini rivelano la loro presenza. Sembrano inetti e spaesati e invitano ripetutamente Liz a tornarsene a casa. I due stanno interrogando Ruth perchè è coinvolta con i terroristi responsabili degli attentati in città. Liz vuole ancora difenderla ma quando Ruth dice di odiare lei e il suo stile di vita Liz si fa coraggio e la insulta. Uno dei due uomini le chiede di colpirla con un martello (come hanno fatto loro) ma Liz non ce la fa. Se ne torna a casa mentre uno dei due mette mano a un trapano. La scena piomba nel buio. Rimane solo il rumore del trapano. Poi Liz si sveglia (è ancora lei? o un'altra? Ha la stessa vestaglia ma i capelli son di colore diverso...) è in una stanza simile a quella di prima, vuota. Guarda fuori dalla finestra, si guarda intorno... che sia stato tutto un sogno? Quasi ci crede, quando sul divano, ora libero, dietro uno dei cuscini trova una delle maschere indossate dai due uomini. La indossa e si sdraia sul divano. Il testo di Ravenhill ha un registro molto realistico che l'Accademia degli Artefatti sposta giocando molto con l'ambiguità: Liz parla da sola o a qualcuno? I due uomini sono quel che dicono o due psicopatici quanto maldestri serial killer? La messa in scena è quasi parodistica, performativa, complice una scenografia contenuta tutta in un parallelepipedo la cui parete frontale è occupata dalle veneziane, prima chiuse e dopo aperte, e quelle laterali e di fondo (di un certo spessore atto a contenere un dispositivo d'illuminazione) sono accese di una luce bianca o colorata. Il finale (diverso da quello originale) sembra da un lato giustificare la situazione precedente (è il frutto della mente eccitata di Liz?) dall'altro sottolinea come chiunque possa trovarsi al posto di Liz ... o di Ruth. Fortissima la denuncia di Ravenhill che non risparmia nessuno, né Liz che alla fine decide di non farsi coinvolgere, né i due uomini assuefatti alle misure straordinarie contro il terrorismo, né Ruth stessa che non è una vittima innocente ma complice di un'azione di terrorismo di cui nulla sappiamo (se non i suoi effetti devastanti, anche Liz ha perso un'amica nell'attentato in ospedale). Lo sviluppo drammaturgico è costruito tutto intorno alla prova magistrale di Sandra Soncini che parte dal topos della nevrotica scritto da Ravenhill per creare un personaggio vivo, costruito con icastica precisione, nella postura, nell'impostazione della voce, uniche, inimitabili, sublimi, perfette. Pienamente in parte, e dunque spaesati e goffi, Michele Andrei e Pieraldo Girotto, che rimangono però a metà del guado senza trarre le estreme conseguenze dalla lettura sul testo di Ravenhill, non convincendo in pieno né come torturatori assuefatti alla routine (come li vorrebbe il loro autore) né come buffe presenze metafisiche come vorrebbe invece la regia di Arcuri. Il riferimento al Paradiso Perduto di Milton, anche in questo caso, è solo nel titolo. Un testo d'effetto e una messa in scena che non si scorda.

Spara/trova il tesoro/Ripeti Paradiso perduto con Miriam Ambutori, Michele Andrei, Pieraldo Girotto, Sandra Soncini. Ambiente luci: Diego Labona, sonorizzazioni Gerardo Greco Scene Adrea Simonetti, Claudio Petrucci Costumi Ginevra polverelli Trucchi Alessandra Romani Una produzione Accademia degli Artefatti09/teatro Metastasio Stabile della Toscana

Guerra e Pace Una madre accompagna il figlioletto nella sua stanza (la solita struttura delle altre pièce, stavolta illuminata con colori chiari tendenti al bianco). Mentre il bambino si addormenta un giovane e bellissimo ragazzo, vestito normalmente ma con due ali sulle spalle (comparso da dietro il letto) e un diavolo con tanto di corna (rosse) mantello e tridente (dorato) (comparso con tanto di fumo da dentro l'armadio) discorrono raccontando la storia di un bambino e di un soldato senza testa. Raccontano una storia che è già avvenuta, coniugandola al passato (il bambino "disse" il soldato "rispose", artificio cui Ravenhill ricorre anche in altre pièce come Donne in Amore), l'angelo interpretando il bambino e il diavolo il soldato. Il racconto si articola dunque su un doppio livello, la storia che i due raccontano (nella quale il soldato vuole la testa del bambino e il bambino vuole giocare con la pistola del soldato) e le implicazioni che quella storia ha su di loro, in quando angelo e diavolo. Su questo doppio registro si innesta (come siamo abituati dall'Accademia degli Artefatti) il vissuto dei due attori nell'interpretare quella parte, che qui si sovrappone al gioco di competizioneseduzione che il diavolo e l'angelo compiono, una duplice seduzione, quella del bellissimo ragazzo alato (e Matteo Angius ne ha davvero le physique du rôle) da parte del Diavolo e al contempo quella del soldato per il bambino, con una tenera valenza sessuale (soldatoambino e DiavoloAngelo) che non prende mai il posto di quella più numinosa della fascinazione della guerra e delle armi. A questa seduzione si aggiunge quella dei due attori (nel duplice ruolo che sono chiamati a interpretare) che si rubano la scena, sovvertono la successione delle battute (secondo il copione precedentemente stabilito) mantenendo per tutta la pièce una leggiadria che opposta al contenuto guerrafondaio del racconto.Nel finale infatti il soldato ruba la testa al bambino che però si tiene l'arma e la guerra può continuare (e durante gli applausi il bambino che per tutta la pièce ha dormito si mette in posa pistola in pugno mentre una versione rock di Over the Rainbow fa da commento sonoro). Una messa in scena esemplare tutta giocata da due attori in stato di grazia che raccontano con inusitata leggerezza la corruzione e la seduzione di un soldato per un bambino con un tono fiabesco ma tutt'altro che edificante. Anche in questo caso il riferimento all'opera di Tolstoj è tutta nel titolo.

Spara/trova il tesoro/Ripeti Guerra e pace con Matteo Angius, Gabriele Benedetti, Sandra Soncini. Ambiente luci: Diego Labona, sonorizzazioni Gerardo Greco Scene Adrea Simonetti, Claudio Petrucci Costumi Ginevra polverelli Trucchi Alessandra Romani Una produzione Accademia degli Artefatti09/teatro Metastasio Stabile della Toscana

Odissea Un gruppo di uomini è seduto su delle casse nere, nella "solita" struttura scenica. Nella parete di fondo campeggia la parola Odyssey sulla foto di un'isola oceanica. Chi dà le spalle al pubblico, chi segue la musica (cuffiette alle orecchie) su di un pc portatile, mentre da uno schermo video un gruppo di giovanissimi giocano alla guerra con dei soldatini... I vari personaggi si rivolgono al pubblico salutandolo, dicendo che stanno per tornare a casa, che il loro lavoro lì è finito. Sono passati tanti anni da quando hanno lasciato la Patria. C'è chi ha il figlio che si è fidanzato. Chi ha la moglie che lo aspetta e le continua dire di esserle rimasta fedele (nonostante i giovani del call center dove lei lavora teme possano averla concupita). Chi ha il figlio che aspetta che il padre torni dalla guerra e ha degli incubi in cui lo visita un soldato senza testa. Inneggiano alla libertà e alla democrazia. Pensano che il giorno dopo saranno con le proprie famiglie. Si augurano che anche loro, la popolazione cui si rivolgono, che stanno per lasciare, un giorno abbia lo stesso che loro troveranno una volta tornati in patria, anche se non hanno fiducia di quel popolo acerbo che sì è lasciato trascinare da un dittatore. Poi improvvisamente il soldato che fino a quel momento era rimasto ad ascoltare musica al computer viene preso, portato in proscenio, messo letteratamente in mutande e costretto a leggere una dichiarazione da dittatore. Il dittatore che non si pente, legge con riluttanza, mentre l'unica donna che fa parte del contingente lo riprende con una videocamera (e vediamo le immagini sullo schermo). Prima di strangolarlo la donna gli trucca il viso da clown. Da morto il soldato-dittatore esprime il desiderio di fare colazione. Intanto un dispaccio avverte che il contingente non può ancora tornare a casa e deve recarsi presso un altro fronte. I soldati escono di scena e, ripresi da un'altra telecamera, lanciano un appello in video: sono stanchi della guerra e vogliono tornare a casa. Un ragazzino (lo stesso della pièce Guerra e Pace) accompagnato amorevolmente dalla madre, legge una lettera nella quale dice di essere contento che il suo papà porti il bene in tutto il mondo. Tre giovani ragazzi salgono allora dalla platea sul palco iniziano una danza hip hop, poi giocano con dei soldatini alla guerra, col ragazzino, finché non rimangono tutti a terra, esanimi. L'intervento di Arcuri su questa pièce è più evidente i cui interventi precisano ed esplicitano le valenze del testo, costituendo al contempo una dichiarazione politica del regista e degli attori. Il testo di Omero cui Ravenhill si rifà nel titolo pesa con tutta la sua forza evocativa, instaurando dei paralleli che funziono benissimo dai proci-ragazzi del call center ai soldati-greci che mancano da casa da tanti anni. Diverse generazioni si affrontano, uomini e donne, anche loro sul fronte. Uno pseudo dittatore viene giustiziato e da morto esprime gli stessi desideri dei portatori di civiltà. E' una forzatura solo apparente del testo (che riporta i dialoghi differenziandoli solo con un trattino lasciando piena libertà al metteur en scène) mentre la chiusa sensibilmente diversa da quella di Ravenhill (che finisce con l'inneggiare del ragazzino alla guerra) è poetica, elegiaca e angosciante. La nuova generazione balla spensierata e gioca alla guerra soccombendo come i padri che sono davvero al fronte. Tantissime le suggestioni (la numinosità della guerra mediatica, letale quanto quella concreta) che lasciamo al lettore attento. Una messa in scena corale, perfetta, impeccabile, con un lato performativo tecnologico che non è fine a se stesso ma inchioda tutti noi occidentali alle responsabilità che abbiamo in quanto consumatori del racconto mediatico che corrompe anche i nostri figli e dove la retorica da esportatori di democrazia (e strangolatori di dittatori) ha già invischiato le vittime della guerra che hanno gli stessi desideri e priorità del consumismo occidentale (tanto da desiderare, da morti, a un cappuccino per poi preoccuparsi della linea...). Un consumismo che spacciamo per libertà.

Spara/trova il tesoro/Ripeti Odissea con Miriam Abutori, Matteo Angius, Gabriele Benedetti, Livio beshir, Chanda&Francesco&Joshua Costa, Fabrisio Croci, Pieraldo Girotto, Video: Lorenzo Letizia, Ambiente luci: Diego Labona, sonorizzazioni Gerardo Greco Scene Adrea Simonetti, Claudio Petrucci Costumi Ginevra polverelli Trucchi Alessandra RomaniUna produzione Accademia degli Artefatti09/teatro Metastasio Stabile della Toscana

La madre Due soldati, un ragazzo e una ragazza. Devono avvisare la madre che il figlio militare è caduto in un'azione di guerra. Non riescono a pronunciare il discorso di circostanza, vengono interrotti dalla donna che, senza alzarsi dal divano, il cui schienale la nasconde completamente al pubblico, li prende a parolacce, li schernisce, non vuole sentire quelle parole. Quando il soldato si avvicina per farla ragionare lei lo ferisce. Il giovane perde l'aplomb e le inveisce contro. Lei gli chiede scusa, lo medica, poi, confondendolo con il figlio, lo consola, accogliendolo a casa come fosse il suo bambino cresciuto. Commosso il giovane lascia fare, poi si alza e dice le parole standard con le quali comunica alla donna, alla madre, che suo figlio è morto. La donna sembra non interessarsene, cerca il telecomando, vuole tornare alla sua routine fatta di pasticche per la depressione e tv. L'altro soldato, la ragazza, si offre di prepararle la colazione. La madre, gentile, declina l'invito, le chiede se ha figli, le dice che è giovane ha ancora tempo per farne. La la giovane soldato si ribella, urla che non sarà mai madre, che il suo unico scopo è voler servire la patria. Di nuovo sola la donna emerge dal divano e si rivolge direttamente al pubblico parlando del suo programma tv preferito... E dice che piacerebbe anche a noi... Una delle pièce più brevi (ispirata a un classico del cinema muto sovietico La madre di Pudovkin, del 1926), interpretato da Francesca Mazza, che recita per tutto il tempo sdraiata, mostrando al pubblico solo una mano e un piede (con la voce amplificata perchè lo schienale del divano ne impedisce la diffusione acustica) che ci regala una interpretazione indimenticabile il cui monologo quando carezza il soldato, che ha ferito e gli parla come fosse il figlio che sa non esserci più, commuove fino alle lacrime. Francesca Mazza ha una presenza scenica talmente forte che pur essendo presente come sola la voce è in scena anche se ha il corpo occultato. Revenhill è spietato individuare la pochezza della retorica di stato mentre l'onnipresente televisione, vero oppio dei popoli (oltre agli psicofarmaci) è l'unico diversivo che resta alla madre per distrarre se stessa (e noi spettatori), da una solitudine che la morte del figlioribadisce la donna essendo sola già da prima. Ma tra le righe Ravenhill compone anche un altro discorso, quello dell'altra donna che madre non vuole diventare... Assieme a Odissea e Guerra e pace una delle pièce più riuscite delle otto proposte nella kermesse al Palladium.

Spara/trova il tesoro/Ripeti La Madre con Livio Beshir, Francesca Mazza e Federica Seddau Ambiente luci: Diego Labona, sonorizzazioni Gerardo Greco Scene Adrea Simonetti, Claudio Petrucci Costumi Ginevra polverelli Una produzione Accademia degli Artefatti09/Teatro Metastasio Stabile della Toscana

Donne in amore

Un giovane studente nel letto di un ospedale, un infermiere frocio rinominato Nancy, una ragazza piena di cure e di amore per lo studente che è in cura per un cancro. Il racconto è al passato ("tu avevi detto" e "io ti avevo risposto") come per Guerra e Pace. Anche qui gli attori giocano tra lo scarto del presente diegetico (l'adesso di quando raccontano) e il tempo passato cui si riferiscono i fatti narrati cui si sovrappone il tempo degli attori che giocano con intenzioni, interpretazioni e ruoli. L'evocazione di una routine accettabile nonostante la chemio e l'ospedale, un passato (o meglio, un prima) normale cui segue un attentato, una bomba che fa saltare in aria l'infermiere l'amica e anche il malato. Alla fine della pièce escono tutti di scena, il ragazzo malato per ultimo dopo aver tolto i fiori dal vaso sul comodino e averli sistemanti sul letto come si fa con i morti. Una pièce nella quale si sovrappongono ruoli e funzioni (il ragazzo che studia ma a quanto pare è già sposato) mentre i personaggi sono doppi (non in senso morale ma proprio sdoppiati, multipli). Stavolta però il divertimento nella recitazione, la competizione ludica tra i due attori che si sovrappone a quella tra l'infermiere e il ragazzo che flirtano (quando il giovane chiama la ragazza passera zuccherosa vediamo l'infermiere, presenza importuna, che si lascia accidentalmente cadere dello zucchero sul pube) distrae, confonde, non aiuta la comprensione. Mentre l'intento della pièce è quello di dimostrare l'amore femminile come unica coordinata sentimentale (Solo le donne amano e la seconda donna è l'infermiere), Arcuri deduce dal testo delle notazioni vagamente misogine (il decisionismo della donna, anche sul sesso imposto al ragazzo, la vanità maschile che accetta qualunque corteggiamento, anche da un altro uomo, pur che sia), che divertono ma spiazzano perchè l'epilogo è la morte dei personaggi a causa di un attentato (è lei l'amica di Liz in Paradiso perduto morta in ospedale?) e allora quel divertimento sembra fuori luogo non prepara per la morte ma disturba. Convincenti i due ragazzi (anche se Matteo Angius ripete un po' quanto già fatto in Guerra e Pace) mentre Caterina Silva conferma i dubbi che aveva sollevato in Delitto e Castigo e continua a non scandire le parole per cui ogni tanto non si capisce quel che dice...). Una messa in scena che ha qualcosa di artificiale, di non ben centrato, che non arriva al pubblico ma lo stesso importante in quanto si propone come tessuto connettivo con le altre storie raccontate. Mai come in questo caso il riferimento di Ravenhill al film di Ken Russell del 1969 è puramente limitato al titolo (mentre Arcuri cerca qualche vago riferimento anche all'intreccio del film).

Spara/trova il tesoro/Ripeti Donne in amore con Michele Amedei, Matteo Angius, Caterina Silva Ambiente luci: Diego Labona, sonorizzazioni Gerardo Greco Scene Adrea Simonetti, Claudio Petrucci Costumi Ginevra Polverelli Una produzione Accademia degli Artefatti09/Teatro Metastasio Stabile della Toscana

 

Nascita di una nazione Quattro professionisti in altrettanti campi artistici si sono reinventati il loro lavoro e vengono a vendere la loro professionalità come dei creativi che aiutano a far rinascere persone colpite da guerre, stragi, genocidi. Lo si capisce un po' per volta mentre i quattro artisti parlano al pubblico, in platea (mentre sul palco il solito parallelepipedo, inutilizzato, è spento e vuoto), cui si rivolgono come al popolo di una grande civiltà ormai distrutta, ridotta in macerie. E mentre raccontano in un gesto di sincera confessione come la pittura, la letteratura, la danza, e la performing art, li abbia salvati da problematiche personali (dall'onanismo-alcolismo, al recupero dallo shock di essere stato abusato sessualmente da bambino) si capisce comunque la proditorietà del loro agire, traditi dalla retorica dell'arte risanatrice con cui vendono il loro expertise. Invitano il pubblico, a reagire, a darsi da fare, distribuiscono carta e penna, invitano il pubblico a scrivere. Il pubblico corteggiato, divertito, sta al gioco. Poi invitano qualcuno sul palco. Nessuno va. Scelgono loro una donna, con la faccia stralunata. La conducono sul palco lei apre bocca e perde sangue che le sporca tutta la maglietta lasciando i quattro più imbarazzati che altro. Le hanno tagliato la lingua. Poi, rassicurando gli astanti che il peggio per la donna è passato, commentano che sta già iniziando a migliorare, e la invitano a lasciarsi andare, a danzare. La donna è presa dalle convulsioni e cade a terra, alzandosi per ricadere scossa in tutto il corpo da un tremito incontenibile. Una messa in scena minimale basata tutta sulla capacità performativa dei cinque attori (i quattro uomini più la donna) con le peculiarità cui l'Accademia ci ha abituato in questi 5 giorni di spettacoli, una regia priva di orpelli tecnologici (con esclusione del sangue finto) che mostra in tutto il suo freddo cinismo la logica della vendita, della retorica culturale (magari un festival suggeriscono come segno di rinascita...) che gli occidentali portano sempre con loro. Un testo il cui titolo fa riferimento a Nascita di una Nazione di Griffith, sinistro messo in scena con ingegno: prima spiazzando il pubblico, poi facendolo divertire fino a metterlo di fronte alle convulsioni della donna che hanno fatto piombare in sala un silenzio di gelo.

Spara/trova il tesoro/Ripeti Nascita di una nazione con Miriam Abutori, Matteo Angius, Gabriele Benedetti, Fabrizio Croci, Pieraldo Girotto, Ambiente luci: Diego Labona, sonorizzazioni Gerardo Greco Scene Adrea Simonetti, Claudio Petrucci Costumi Ginevra Polverelli Una produzione Accademia degli Artefatti09/Teatro Metastasio Stabile della Toscana

 

Le troiane Mentre a parte del pubblico femminile viene chiesto di salire sul palco dove si accomodano su una gradinata a più piani insieme ad alcune attrici, posta a ridosso della struttura cubica che è chiusa da due pareti mobili e non ne vediamo l'interno, una donna si stacca dalla gradinata e si rivolge al pubblico in platea: Lei e le altre donne sono normali, buone, comprensive, allora perchè le bombardano? Il testo è quasi un monologo (con rari interventi delle attrici sedute tra il pubblico sul palco) nel quale la donna con sempre meno sincerità e sempre con più presunzione ed etnocentrismo si autoincensa come portatrice della civiltà, della democrazia, della bontà, dell'onestà (tranne qualche mela marcia) un florilegio della peggiore borghese, retorica, ipocrita morale occidentale. Un terrorista tra il pubblico è farcito di esplosivo e vuole far salate il teatro. La donna è sorpresa poi arrabbiata sfida il terrorista gli dice di azionare il detonatore. Viene accontentata e mentre un assordante rumore di esplosione spazza via tutto le pareti del parallelepipedo si aprono lasciando vedere una scritta luminosa che recita Le troiane e una parte di carrozzeria di un'auto come in una sorta di musical. Un testo ad effetto che gioca sullo scarto tra Le troiane di Euripide (nel quale le donne di Troia, sconfitte, vengono deportate come schiave ad Atene) e quelle di Ravenhill che sostituisce le Troiane con le donne occidentali, che sono tutt'altro che vittime di guerra e che mostrano una distanza etica abissale con le troiane originali. Altra messa in scena semplice tranne il finale (con una poco convincete esplosione da un punto di vista sonoro) conformato a quel gusto da pop art semplificata impiegato anche in altre pièce (Delitto e castigo), che si basa tutta sulla recitazione di lalla lalli anche qui straordinaria nel passare dalla disperazione vera dell'inizio alla retorica sempre più montante. Intano il pubblico si vede fisicamente messo in scena in un rimando elegante semplice e chiaro. Un senso di disagio cui si somma il rammarico per stare assistendo all'ultimo spettacolo di una kermesse di 5 giorni di teatro densissimi e senza sosta. Ognuno dei lavori messi in scena avrebbe meritato diverse repliche e una tenuta di diverse settimane se il teatro e la cultura fossero un bene davvero riconosciuto dallo Stato come tale e non lasciato invece alle forze delle istituzioni locali che da sole fanno già ben più di quanto ci si possa da loro aspettare. Spara/trova il tesoro/Ripeti

Le Troiane con Miriam Abutori, Francesca MAzza, CAterina Silva, Sandra Soncini, Video Lorenzo: Letizia, Ambiente luci: Diego Labona, sonorizzazioni Gerardo Greco, Scene Adrea Simonetti, Claudio Petrucci Costumi Ginevra Polverelli Una produzione Accademia degli Artefatti09/Teatro Metastasio Stabile della Toscana

Visto il 09-02-2010
al Palladium di Roma (RM)