La genesi di Spara/Trova il tesoro/Ripeti sta tra l'epico e il leggendario.
Il Festival di Edimburgo commissiona a Ravenhill 16 pièce, una per ogni giorno del festival, ma una crisi epilettica gli provoca una perdita di memoria e quando il drammaturgo si rammenta dell'impegno con Edimburgo manca davvero un tempo brevissimo alla consegna delle pièce. Ravenhill compone così febbrilmente le 16 pièce (più un'appendice e un epilogo) ognuna delle quali ispirata a vario titolo a un capolavoro della letteratura, ma anche del cinema e del teatro classici occidentali (da Le Troiane a Guerra e pace, da Nascita di una nazione a Delitto e castigo e l'Odissea) costruendole sulla contemporaneità dell'occidente guerrafondaio, individuando alcune parole feticcio quali democrazia, libertà, pace mostrate in tutta la loro valenza retorico-spettacolare. Ne risulta un'analisi lucida e puntuale sul nostro etnocentrismo, sul razzismo insito nella nostra democrazia, sullo sfaldamento della società che si richiude in monadi disperate e non comunicanti.
Ogni pièce è autonoma e di senso compiuto e costituisce uno spettacolo a sé. Viste insieme acquistano un significato in più dato dai rimandi interni di pièce in pièce alla nostra contemporaneità, accomunate come sono dal tema della guerra, i conflitti che stanno sconvolgendo il Medio Oriente e in particolare l'Iraq. Da questo punto di vista il titolo Spara/Trova il tesoro/Ripeti allude ironicamente al fatto che la guerra, amplificata e spettacolarizzata per noi occidentali dal complesso sistema dei media, ha preso i connotati iperrealistici di un videogioco.
Un corpo di opere che hanno subito attratto l'Accademia degli Artefatti che, fatte tradurre le pièce da Pieraldo Girotto e Luca Scarlini, ha iniziato a metterle in scena. I testi di Ravenhill mancano del tutto di didascalie e riferimenti scenografici lasciando spazio alla regia ampio margine per la messa in scena. Alcune messe in scena sono minimali e senza quasi scenografia, altre invece ad alta densità tecnologica (impiego di videocamere e monitor in scena, strutture scenografiche anche di una certa complessità). D'altronde Accademia degli Artefatti precedentemente era orientata verso la performance visiva da istallazione d'arte. Una regia per la quale Arcuri ha deciso di coinvolgere direttamente ogni singolo interprete:
ho cercato semplicemente di leggere i testi con gli attori, e assieme cercare di capire cosa ci chiede quel testo. Che atteggiamento, quali caratteristiche, perché dice quelle cose? Si tratta, insomma, di aprire i testi, cercare di capire, e poi consegnare all'attore quei testi aperti. Ed è l'attore che fa la regia: la replica è la regia di quell'attore per quella sera1.
La visone di più pièce messe in scena dallo stesso gruppo di attori acquista così ancora un altro significato il rimando interno tra vari personaggi interpretati dagli stessi attori nelle diverse situazioni sceniche.
Già portate in scena al Palladium di Roma lo scorso Febbraio, delle quali abbiamo già parlato, l'Accademia degli Artefatti è di nuovo in scena a Roma al Teatriscatola dove presenta 10 delle 17 pièce quattro delle quali mai presentate in precedenza nella Capitale in una nuova kermesse recitativa che vede impiegati attori e attrici con due diversi spettacoli al giorno.
Di questa nuova tornata recensiremo le pièce "inedite" per la piazza romana, rimandando per quelle già presentate al Palladium alle recensioni scritte allora.
Mikado sorprende a cominciare dal riferimento teatrale da cui trae il titolo (The Mikado o The Town of Titipu di Gilbert and Sullivan del 1885, una delle opere più famose in Inghilterra ma forse di meno immediata riconoscibilità per un pubblico d'oltremanica) come per l'argomento che non riguarda la guerra non almeno quella tradizionalmente intesa. La pièce è un dialogo malinconico e mesto tra una coppia di uomini legati da una relazione sentimentale (come capiamo man mano che la pièce si dipana) uno dei quali deve affrontare la recrudescenza del cancro per il quale è in cura.
La guerra è dunque quella metaforica contro le cellule cancerose che l'uomo sta per combattere nuovamente. Una battaglia cui corrisponde una rabbia repressa che si risveglia ogni volta che l'uomo vede intorno a se segni di gioia (bambini che ridono persone che si baciano) rabbia che si trasforma in un desiderio di morte, propria e altrui (Volevo saltare in aria. Saltare in aria e trascinarli tutti all'inferno... bum... ucciderli tutti così... bum2 .
Su una panchina di un giardino innevato (reso con una scena volutamente artificiale ma, lo stesso, icastica) i due protagonisti devastati da una questione privata sembrano ripercorrere le solite dinamiche borghesi individuali ed egoiste (vorrei poterlo trasmettere con le mie dita ora e passartelo3) che non si fermano nemmeno dinanzi la malattia ma anzi ne vengono proprio per questo amplificate dove l'orientamento sessuale è solo una delle incognite dell'equazione non immune da certe dinamiche meschine ed egoiste. Anche in questa pièce emerge magnifico il metodo di lavoro e di regia di Arcuri. Lo spettacolo viene recitato dai due attori coinvolgendo il pubblico al quale, soprattutto all'inizio, il testo viene porto come una ipotesi, una domanda continua, cui è lo spettatore a dover ratificare il senso di un testo che si fa proprio grazie alla sua presenza, al fatto che il testo sia proferito a degli spettatori. Un coinvolgimento diretto del pubblico, presente, anche se in modi diversi, anche nella altre pièce (ne le Troiane si chiede a parte del pubblico femminile di sedere in una platea posta sul palco, in Nascita di una nazione alcune persone del pubblico vengono direttamente coinvolte dai quattro attori come fossero parte dello spettacolo). Nel Mikado lo spettatore è posto dinanzi l'impudicizia di un amore devastato dalla malattia del secolo, da un cancro che colpisce anche l'amore che non osa dire il suo nome. Alla fine della pièce grazie alla bravura e alla grazia dei due interpreti, lo spettatore è provato, commosso, riempito di un senso di devastazione che è al contempo metaforico e concreto, in un'esperienza conturbate e dolorosa. Indimenticabile.
1) intervista a Fabrizio Arcuri
2) Mark Ravenhill SparaTrova il tesoroRipeti Accademia degli Artefatti a cura di Lorenzo Pavolini Paesamenti Roma 2010 p. 125
3) ibidem