Terzo concerto della serie Specchi del tempo per il Teatro dell’Opera di Roma. L’iniziativa, che mette a confronto ogni volta tre lavori appartenenti rispettivamente al periodo classico, al Novecento storico e alla musica contemporanea, è esplicitamente volta a incontrare un nuovo pubblico, grazie anche a una favorevole politica di prezzi. Protagonisti della serata sono stati il giovanissimo pianista coreano Sunwook Kim e il direttore Tito Ceccherini alla guida dell’Orchestra del Teatro dell’Opera.
Dopo la consueta breve ma efficace introduzione di Stefano Catucci, la serata è iniziata con il Concerto n.4 per pianoforte e orchestra di Beethoven, con il primo tempo esposto dal solo pianoforte poi raggiunto dall’orchestra che lo incalza e inizia un dialogo alla pari con continui rovesciamenti di fronte. Il secondo tempo, Andante con moto, inizia invece con un motto cupo e stentoreo dell’orchestra che farà da contraltare a un dapprima timido, poi sempre più deciso risveglio del pianoforte che, con dolcezza, oppone i suoi argomenti che si sciolgono in una cantabilità delicata e romantica in contrasto con il grande volume di suono dell’orchestra che alla fine si arrende dopo aver ripetuto sommessamente il suo tema. Il Rondò riporta la pace tra i protagonisti e, come all’inizio, riprende il dialogo tra solista e orchestra in un clima luminoso di danza. Sunwook Kim ha esibito una tecnica di primordine, soprattutto quando la velocità e la potenza di suono si rendevano necessarie, forse sono risultati un po’ attenuati i chiaroscuri beethoveniani. Anche l’orchestra ben guidata da Tito Ceccherini si è mostrata duttile e mai prevaricante. Grandi applausi al promettente pianista che ha ripagato con un bis beethoveniano, una bella esecuzione dell’Adagio dalla Sonata Patetica.
E’ stata poi la volta di Prom di Franco Donatoni, si tratta di un brano per grande orchestra, con tanti legni, ottoni e due arpe. Tutte le sezioni sono impegnate ma il risultato è una musica non risolta, quasi a illustrare le vicende biografiche dell’autore, oppresso a lungo da gravi problemi di salute che non gli hanno permesso di terminare compiutamente il lavoro. Nonostante gli interventi di completamento dei suoi allievi, sono rimaste comunque lacune nel tessuto compositivo, che la sensibilità di Tito Ceccherini non ha nascosto ma ha espresso in un vero e proprio “soffio” dell’orchestra.
La serata è terminata con la Sinfonia n.5 di Jean Sibelius di cui lo scorso anno è stato ricordato il 150° anniversario della nascita. Qui è emersa decisa l’autorevolezza del Direttore, si capisce subito che è una musica a lui congeniale, il clima nordico e intimo traspare continuamente e, a dispetto dell’epoca di composizione, si rimane ancorati alla tradizione. Siamo lontani dalle inquietudini che pervadono l’Europa musicale, l’ispirazione è naturalistica e intima, Sibelius racconta di essere rimasto colpito da un volo di cigni a cui ha dedicato una delle sue melodie più famose. I tre tempi della sinfonia scorrono come un racconto con l’impiego di tutte le sezioni orchestrali, fino al solenne e lento finale che termina con sei misteriose pause.
Applausi affettuosi al Direttore e all’Orchestra, che, finalmente fuori dalla buca, comincia a diventare familiare al pubblico del Costanzi.