Lirica
STIFFELIO

Stiffelio, un capolavoro trascurato?

Stiffelio, un capolavoro trascurato?

Forse sarà un po' azzardato definirlo «il capolavoro perduto della maturità verdiana», come fa Daniele Rustioni nel libretto di sala dello Stiffelio appena andato in scena alla Fenice, ma bisogna dire che quest'opera, cronologicamente collocata tra Luisa Miller (1849) e Rigoletto (1851),  e quindi effettivamente anteprima dei grandi capolavori degli Anni Cinquanta, si sta pian piano affermando come una partitura pienamente degna di rispetto. Si è riscattata con onore, insomma, da un oblio ingiustificato durato un secolo – è stata ignorata persino nelle celebrazioni del 1951, cinquantenario della morte di Verdi – e spezzato dal clamoroso recupero avvenuto nel 1968 al Regio di Parma, sotto gli auspici del benemerito Istituto di Studi Verdiani. Da allora le sue riprese non sono mai mancate, culminando nel memorabile doppio allestimento che nel dicembre 1985 vedeva messi a confronto nella sala della Fenice due titoli strettamente collegati, vale a dire lo Stiffelio e l'Aroldo, essendo il secondo forzato rifacimento (ad usum censurae) del primo, sempre più ostacolato per lo scabroso soggetto adottato. L'Aroldo eseguito il pomeriggio, l'altro la sera stessa, permettendo una valutazione tra i due che più diretta non era possibile immaginare. Tra l'altro, poco dopo, e cioè nel 1988, Stiffelio veniva di nuovo ripreso alla Fenice, sempre con il fascinoso allestimento di Pier Luigi Pizzi; e chi scrive non può dimenticare un'altra valida edizione, quella offerta al Verdi di Trieste nel 2000 (Luisotti, Malagnini e Theodossiou nel cast), celebrando così i 150 anni dalla prima triestina e, con piccolo anticipo, i cent'anni dalla morte dell'Autore; spettacolo peraltro meritoriamente salvato in CD Dynamic. Né si può trascurare il bellissimo spettacolo del Regio di Parma del 2012, diretto da Battistoni e con Aronica quale formidabile protagonista – è disponibile in DVD Unitel -  e poi subito ripreso con altro cast nel 2013 - altro anno di grandi celebrazioni verdiane - al Massimo Bellini di Catania. Non ho numeri precisi sottomano, ma l'impressione, sotto sotto, è che Stiffelio – con la sua attualissima vicenda 'piccolo borghese' di tradimento coniugale, e con le sue innegabili qualità musicali – stia pian piano facendo le scarpe ad altri titoli giovanili– Luisa Miller ed Ernani, ad esempio – conquistandosi a loro spese un suo spazio nei cartelloni lirici.

Tra l'altro, le invenzioni di Guido Petzold (scene) e Judith Fischer (costumi) per questa nuova edizione di Stiffelio, prodotta a trent'anni quasi dalla precedente apparizione veneziana, riecheggiano curiosamente, e per molti versi, le geometriche quinte e gli abiti di taglio tradizionale che Francesco Calcagnini disegnò per Parma, già a cominciare dal lungo tavolo che in entrambi i casi attraversa tutta la scena allineando i personaggi. Nel caso presente, tuttavia, viene proposto allo spettatore un raggelato schematismo visivo che nega ogni partecipazione emotiva, accentuato dalla semioscurità in cui viene immerso lo sguardo; e rafforzato dalla presenza di una invadente torre centrale metallica che sostiene accecanti luci da stadio ed un accenno di pulpito. Così l'unico momento interessante è allorquando la traforata parete si illumina in trasparenza di caldi colori, suggerendo le luminose vetrate di una chiesa. Quanto alla latitante regia di Johannes Weigand, pare che vada procedendo a tentoni; ma soprattutto che rinunzi allo scavo degli sfibranti travagli interiori che attanagliano i tre personaggi cardine: Stiffelio/Rodolfo stretto tra doveri pastorali, il doloroso tradimento, il dettato evangelico del perdono al peccatore; Lina, affranta dal macerante rimorso d'averlo ingannato; il vecchio Stankar, offeso nell'onore dal comportamento della figlia, e smanioso di un riscatto morale dell'onta subita (atteggiamento molto 'piccolo borghese' anche questo, in verità).

Prese al volo all'ultimissimo appuntamento, queste recite veneziane confermano la sempre maggiore maturità di Stefano Secco, catturato in una delle sue prove migliori. Il canto, nel suo Stiffelio, fluisce morbido e solido, sa essere variato negli accenti e nel fraseggio, riuscendo nell'impresa di rendere tutte le sfumature emotive e psicologiche del difficile ruolo del pastore asseveriano; e questa sua intensa interpretazione, diciamolo pure, ha rimediato non poco alle disattenzioni registiche di Weifgand. Peccato invece che Julianna di Giacomo non sia stata in grado di conferire pienezza e verosimiglianza alla figura di Lina, in quanto palesemente incapace di esercitare un giusto controllo – in una parte essenzialmente lirica, privilegiante il registro centrale – dei pur cospicui mezzi posseduti: di qui acuti non sempre belli, fraseggio molto generico, persino una certa ruvidità timbrica. Dimitri Platanias affronta il personaggio autoritario di Stankar con un piglio vocale veristico, e quindi carico di inutile veemenza; e nella genericità dello slancio canoro si dimentica di offrire le sfumature, l'eleganza e la compostezza del vero fraseggio verdiano. Atteggiamento del tutto deplorabile, va da sé, e che ovviamente – parlando di stile e di buon gusto - lo porta completamente fuori strada. Molto meglio, in questo senso, il buon Raffaele di Francesco Marsiglia, pur nella brevità del ruolo; assai corretto lo Jorg del basso coreano Simon Lim; Cristiano Olivieri e Sofia Koberidze hanno ben figurato nei ruoli di Federico e Dorotea.

Anche per quanto attiene alla guida musicale di Daniele Rustioni, non si può che confermare quanto già constatato dall'amico Francesco Rapaccioni alla prima: il giovane direttore milanese adotta ritmi spediti, per un incalzante senso narrativo dell'insieme; sceglie una bella tavolozza di colori e una varietà di dinamiche sempre adeguate, mantiene l'occhio attento ai cantanti, e presta parecchia attenzione a quelle piccole gemme strumentali che Verdi sparge nella partitura. 

Visto il 03-02-2016
al La Fenice di Venezia (VE)