Seconda tappa per la regista Andrée Ruth Shammah che, ancora una volta, dopo “Quale droga fa per me?”, cerca di interpretare e capire il presente.
La scelta questa volta è caduta su “H to He- I am turning into a man” (“Sto diventando uomo”) opera di Claire Dowie, lesbica dichiarata e una delle maggiori rappresentanti della stand-up comedy inglese. La Shammah decide di focalizzare la sua attenzione su un testo liberamente ispirato alla metamorfosi di Kafka, pensato e scritto per evidenziare la complessità degli stati d’animo di chi, come la scrittrice e prima interprete, è omosessuale. In Italia è stata proprio Claire Dowie la prima a portare sulle scene “Sto diventando un uomo” in lingua inglese (ottobre 2006) ed ora l’arduo compito è passato a Sara Bertelà, attrice di indiscusso talento e buon percorso professionale ma che in questi panni ha poco appeal e pone parecchi punti di domanda. La Bertelà ha avuto più di qualche incertezza recitativa (serata magari non favorevole) e, forse anche a causa della diversa fisicità rispetto alla Dowie – quest’ultima molto più mascolina rispetto alla molto femminile Bertelà – il personaggio si sfuma troppo, non rendendone appieno lo spirito e l’intento.
Tutto si svolge in un locale notturno con tavolini e abat-jour, sipario e passerella, magicamente allestito all’interno del teatro, che riporta gli spettatori in un tempo indefinito tra i primi del ‘900, dove il monologo della Bertelà viene anticipato dalla proiezione di filmati dell’epoca che si focalizzano su baci saffici e scene di travestimento e ambiguità sessuale. Qui Helen, la protagonista, si presenta e racconta la sua strana storia: il suo corpo si sta lentamente trasformando in quello di un uomo. Il processo di trasformazione viene evidenziato da un cambiamento nell’abbigliamento e nel trucco che passa da parrucca bionda, miniabito, scarpe con la zeppa e ciglia finte ad abiti sempre più maschili, e dalla descrizione dei cambiamenti fisici: gli occhi cambiano colore, il seno si ritira, il corpo diventa villoso e la postura e gli atteggiamenti diventano tipicamente maschili.
Il tutto viene descritto con ironia e soprattutto enfatizzando quelle caratteristiche maschili/femminili che più distinguono i due generi, ma senza soffermarsi più di tanto sulle sofferenze interne, quelle dell’anima. Al contrario di quanto si propone, quindi, la commedia in questa versione italiana non riesce fino in fondo a trasmettere allo spettatore la complessità delle riflessioni che la sottintendono. Il testo si ritrova smarrito, così come smarrito è il suo primario scopo, ossia quello di raccontare una storia dove la perdita d’identità di genere ha la forma di un incubo, di dolore vero, e dove viene raccontato il desiderio di essere amati per quello che si è.
Una performance che lascia un po’ perplessi, proprio in funzione di alcune pecche di primo piano. Rivedibile, perché comunque, se sistemate, queste pecche possono trasformarsi a loro volta in punti di forza. Da vedere sicuramente in inglese con la Dowie protagonista.
Teatro Franco Parenti,
25 novembre 2006
Visto il
al
Franco Parenti - Sala Grande
di Milano
(MI)