Antigone, la cornacchia e l'elettro-soul

Antigone, la cornacchia e l'elettro-soul

Il Piccolo Bellini propone in questi giorni un particolare adattamento dell’Antigone di Sofocle, rilettura della scrittrice Ali Smith, dal titolo “Favola in musica per cornacchie, cani selvatici, maledizioni, tiranni, sepolcri e fanciulle in fiore” per la regia di Roberto Tarasco. Anita Caprioli ci accompagna in quest’allestimento, reading con accompagnamento musical-rumoristico di Didie Carla, nato come promozione al testo della suddetta autrice scozzese all’interno del progetto editoriale di Alessandro Baricco “Save the Story”, dal mirabile scopo di salvare i grandi Classici dall’oblio raccontandoli alle nuove generazioni.

Una cornacchia, appollaiata su una delle sette porte di Tebe, diventa per la Smith la narratrice dell’antica tragedia sofoclea. Quest’inedito punto di vista conduce alla più gentile delle fascinazioni infantili per le fiabe. Divertente risulta l’inversione di prospettiva che porta la cornacchia a raccontare la triste vicenda di Antigone alla sua nidiata, specularmente a quanto sin da Esopo fu fatto per gli uomini che narrarono ai loro piccoli storie dove gli animali personificati, portatori dei più elementari e implacabili giudizi morali sui comportamenti umani, furono i protagonisti. Nell’epoca del relativismo più estremo l’uomo è, sen non altro, animale darwiniano e l’animale, che mai come in questo periodo storico assunse una tale sensibilità e così tanti diritti civili, diviene giudice dei comportamenti umani e determina una differente chiave di lettura al dramma narrato. Sono più importanti le leggi degli uomini o quelle di Dio? E queste ultime esistono o sono anch'esse leggi di uomini ammantate di sacralità? Sono questi gli interrogativi che mantengono acceso l’interesse per questa vicenda sin dal 442 A.C.. La cornacchia, che osserva i morti e gli “ancora vivi” soprattutto come possibili pasti per sé e per la propria prole e che per tale motivo non può che vedere nella carneficina finale un “happy ending”, con il suo sguardo cinico e realistico fa risuonare attraverso questa storia l’ennesimo monito per l’umanità.

Non occorrerebbe altro per descrivere il lavoro proposto alla prima napoletana; poiché non vi è molto altro. O meglio, sono riconoscibili la grande professionalità e preparazione di Anita Caprioli, la genuina musicalità di Didie Carla, le suggestive sculture di Giovanni Tamburelli ma l’insieme non si discosta molto da un lavoro raffazzonato che ben si confaceva all’evento promozionale organizzato, in forma gratuita, l’anno scorso a Villa Bombrini in provincia di Genova e meno a quella di un palcoscenico teatrale. Non che ciò stupisca particolarmente data la costanza con la quale si assiste a disinvolti adattamenti dei “grandi Classici” dove si è incerti se ritenere maggiore l’accanimento nei confronti della memoria dell’autore del testo originale o del pubblico presente in sala. Per rendere contemporanea un’opera ed avvicinarla “ai giovani” basta sostituire il coro della tragedia ateniese con il canto elettro-soul della voce a tratti incerta di Didie Carla? L’unico risultato certo è l’insofferenza del pubblico per il quale sarebbe bastata almeno una migliore equalizzazione dei suoni, al fine di sentire la vecchia ma pur sempre attuale storia di Antigone.

Nell’insieme quella proposta non risulta essere un’operazione pretenziosa ma un lieve sorriso si palesa allo scoccare della battuta di chiusura; “Più che trovare belle storie, occorre saperle raccontare”.