Esiste in Italia una “questione nucleare”? A giudicare dall’informazione resa dalla televisione e dalla stampa, non ci sarebbe nessuna ragione per legittimare tale espressione, a parte un diffuso atteggiamento di ostilità dei cittadini verso un sistema di produzione dell’energia che altri Paesi utilizzano comunemente. La popolazione italiana, ascoltata per referendum nel 1987, si espresse in modo chiaro contro il nucleare; allora qualche uomo politico giudicò la scelta popolare come viscerale e sbagliata, imputandola a campagne d’informazione demagogiche.
A quasi vent’anni dal referendum, Ulderico Pesce racconta e denuncia storie che rivelano aspetti meno noti del nucleare in Italia, avvenimenti e fatti di cui l’informazione di massa non si è mai davvero occupata, che dipingono una modalità tutta nostrana, e anche un po’ inquietante, di gestire il problema del nucleare, fin da tempi insospettabili: negli anni Sessanta, ad esempio, il governo italiano acconsentì ad accogliere sul territorio nazionale alcune scorie radioattive altamente tossiche prodotte negli Stati Uniti, ancora oggi stoccate alla buona nei depositi italiani. Solo le popolazioni locali, e solo per l’intervento dei cittadini non assopiti, hanno avuto consapevolezza delle minacce disseminate sul territorio: pericolosissimi rifiuti nucleari liquidi conservati da quarant’anni in cisterne fatiscenti, in Piemonte come in Basilicata; sperimentazioni di pericolosità sconosciuta alle porte di Roma; scarichi a mare di liquami radioattivi nello Jonio; fino all’incredibile decreto-legge che nel 2003 avrebbe disposto la costruzione di un megadeposito nazionale di scorie nucleari a Scanzano Jonico, suolo fertile e fragile, ad elevato rischio sismico e a poca distanza dal mare. Un’insurrezione popolare – non molto dissimile da quella che cinquant’anni prima aveva accolto la riforma agraria di De Gasperi – fu la risposta dei cittadini alla scelta del governo, cui non rimase che ritirare il decreto.
Tutto questo viene raccontato da Ulderico Pesce in uno spettacolo denso e affabulante, attraverso la voce di un giovane emigrante lucano che percorre le vicende del nucleare semplicemente come drammatica esperienza personale. Non un monologo, ma una messa in scena con un solo attore che dà vita ad una narrazione semplice e diretta, in cui si compongono la passione antiretorica della denuncia e l’irriducibile poesia di una civiltà evocata attraverso la forza delle sue radici storiche. «Sradicarmi? la terra mi tiene» annuncia un verso di Rocco Scotellaro in uno dei momenti più intensi della rappresentazione. Un’autentica lezione di teatro civile, cioè di teatro che si esprime sulla vita della polis, come quello della Grecia periclea, linguaggio vivo che nutre il nostro senso di comunità.
Napoli, Auditorium del Teatro Bellini - 21 marzo 2006