Prosa
STUDIO PER CARNE DA MACELLO

Corpi violati nel tritacarne sociale: uno studio contro il femminicidio

Corpi violati nel tritacarne sociale: uno studio contro il femminicidio

Tutto ha inizio nella totale oscurità. Nel buio di scena, voci da incubo, prima simili a flebili lamenti, poi ad urla disperate, si intersecano, si sovrappongono fino a materializzarsi nelle figure delle interpreti in scena in quest'ultimo appuntamento della rassegna catanese Altrove in città: un ciclo di spettacoli imperniati sull’accostamento straniante tra la drammaticità degli argomenti e le meraviglie artistiche dei luoghi. Così, nella cornice tardo barocca del Chiostro di Palazzo dei Minoriti a Catania, prende piede a suono di marcia militare il voyeurismo dei tempi nostri, una frenetica sfilata che annuncia il tema dominante: il corpo femminile ridotto a « carne fresca da sfascio…da percuotere, da insultare» per «farne ciò che si vuole». Donne dis-umanizzate, corpi come merce di scambio, in una definizione, «carne da macello», secondo il refrain filo conduttore della pièce.

Il mostro della porta accanto

Come in un polittico dell’orrore, le storie di povere vittime si alternano inframmezzate da movimenti simili a spasmi dolorosi e lamentazioni a tema. Si inizia con il quadro l’amuri di una matri, dove l’uso espressionistico del dialetto risulta funzionale alla disperata denuncia, da parte di una madre, dell’aguzzino della propria giovane figlia. L’abbondante presenza di pellicole plastificate sui fondali e indosso alle attrici, rimanda invece alle pseudo-culture secondo cui è meglio far sparire il corpo femminile, essendone l’occultamento garanzia di miglior possesso. Una ‘normale’ mostruosità indirettamente corroborata dall’ idiozia mediatica di certo giornalismo del dolore, pieno di sadico compiacimento per i particolari efferati da consegnare in pasto all’ abbrutimento di massa.

Una società da riabilitare?

Sembrerebbe di capire che vittime e carnefici, per opposte ragioni, costituiscano la risultante di una società malata, che disconosce i valori immateriali e ignora la dignità della persona. È quanto sostiene la sessuologa Susanna Basile, identificando diversi profili femminili in qualche modo affetti da ‘dipendenza sentimentale’ e per tale motivo renitenti rispetto alla denuncia dei soprusi subiti; a questo s’aggiunge la colpevole indifferenza dello stato, che trascura del tutto l’educazione agli affetti e manca spesso di una giustizia efficace. La rievocazione di altri terribili dettagli, presentati in tono surrealistico, conduce quindi all’ultima struggente melodia amorosa, interrotta in modo significativo. Si resta sgomenti, ammutoliti per un po’. Forse proprio l’intento di un lavoro che mette a confronto con scomode verità senza cadere nell’ovvio - o peggio- nel colpevole esibizionismo; che tiene sempre sulla corda, mantenendosi su un difficile crinale, tra tensione emotiva e critica ragionata.

 

 

Visto il 15-06-2017
al Chiostro dei Minoriti di Catania (CT)