Quando si affrontano classici come l’Amleto, si deve scegliere soprattutto fra due diverse possibilità: l’attenzione alla scrittura, oppure la visione personale che cerca di metterne in luce aspetti particolari, ed è questo il caso della convincente edizione presentata al Ridotto del Mercadante da Alfonso Benadduce.
La sua scelta ed il suo stesso rappresentarsi in Amleto, fa di questo principe di Danimarca non il protagonista, ma il Regista di ogni scena, come se di ogni vicenda che scorre sulle tavole del palcoscenico conoscesse già in anticipo ogni risvolto, quasi ne fosse anche il narratore ed il commentatore (ed in questo senso va forse anche il titolo di Studio).
C’è uno sguardo amletico immanente, "laterale", che pesa e conferisce ad ogni circostanza una luce impalpabile ma estremamente forte, e più ancora c’è la sublimazione di tutti gli elementi-chiave dei personaggi di Shakespeare, con Ofelia che si riduce spesso ad un corpo fluttuante ed il Re Claudio che non dicendo una sola parola esterna una rabbia simbolicamente efficacissima; per non dimenticare le interpretazioni psicanalitiche andate di moda per decenni sul suo complesso d’Edipo, inoltre, la madre Gertrude lo bacia in bocca platealmente, e così via, riempiendo di senso quello sguardo laterale racchiuso nella sua citazione "Il sole, se accarezza un cane morto, genera vermi".
Ma la caratteristica ancora più incisiva, è che Benadduce ricompone, o meglio decompone e presenta la versione spettrale, quasi cadaverica di ogni personaggio, come se a recitare fosse la loro parte già morta, e ad avvicendarsi sul palcoscenico fossero le loro salme, che appaiono per rincorrersi, fino ad essere tutti ricompresi in quel lamento di Amleto in cui si definisce “morto, e senza averne il bene".
Visto il
25-02-2010
al
Mercadante - sala Ridotto
di Napoli
(NA)