Dopo la prima italiana dello spettacolo Sul concetto di volto nel figlio di Dio, Ilaria Mancia scriveva sul mensile “Il Mucchio”:
“E’ difficile parlare del lavoro di Castellucci quando, come nella performance vista a Roma, nulla credo si possa aggiungere a ciò che lui mostra in scena. La potenza totalizzante delle immagini che ci scorrono davanti agli occhi, la ricchezza di senso e semplicità rende difficile una descrizione che non sia traditrice e sminuente. L’unica cosa certa è che, per chi non l’avesse ancora fatto, il lavoro di Castellucci va vissuto, esperito e ricordato dall’incontro dal vivo.”
Allo stesso modo, le recensioni dello spettacolo ad Avignone riportavano l’impressione di chi si è trovato immerso in una atmosfera sacrale, in una riflessione complessa, serie e profonda sul valore del volto di Cristo.
Questo incontro, infatti, tra la platea e il volto è l’elemento che fonda lo spettacolo di Castellucci: al fondo della scena, una riproduzione del volto di Cristo benedicente di Antonello da Messina. Un enorme pannello di circa sette metri per sette, che sembra rimandare ad un pannello pubblicitario, riproduce uno dei rari volti di Gesù con lo sguardo rivolto verso il pubblico. Chi lo ha incontrato a Roma e ad Avignone ne ha colto la spinta mistica, la portata spirituale.
Poi venne Parigi, e questa storia delle feci.
Gli attori confinati in camerino, la paura delle ritorsioni dei religiosi offesi da quel liquido nero che riga il volto, nel timore che l’intento dello spettacolo fosse offendere platealmente l’immagine del Cristo. La situazione si è ripetuta al Franco Parenti di Milano nei giorni del pre-debutto, tanto che la direttrice del teatro, attaccata da integralisti cattolici locali, è costretta a lanciare un appello alle istituzioni religiose e civili.
Questa replica bolognese del Concetto di volto viene immediatamente dopo l’accusa di blasfemia, e si propone durante il dibattito acceso - verrebbe da dire finalmente, onore per questo a Castellucci - dall’opera teatrale.
La riflessione giunge consequenziale, così come sono forse fin troppo facili i paralleli fra gli integralismi religiosi, quello cattolico e quello musulmano e quello ebraico, in grado di scatenare fenomeni di intolleranza, piuttosto che elevazione mistica e armonizzazione della società. Esulando dal bel dibattito filosofico e culturale in atto sul valore dei significati religiosi, l’opera ha - ripetiamo - l’enorme merito di avere suscitato e innescato questa riflessione. Con l’auspicio che al momento di scandalo segua un effettivo ripensamento di quelle interpretazioni del cattolicesimo che si sono rivelati problematici. Che non sia, insomma, quello che Pasolini notava nelle reazioni degli italiani (anche come elettorato, riferendosi al referendum sull’aborto): una risposta scandalizzata per perbenismo o per imitazione nella volontà di mostrarsi qualcosa di più che provinciali.
Rimane importante notare e sottolineare quanto già affermato dalla critica italiana con un documento a sostegno del lavoro di Castellucci (teatroecritica.net): che in nessun caso è ammissibile frenare - in modo peraltro preventivo - la libera espressione laddove questa sia pacifica.