Parma, teatro Regio, “Szenen aus Goethes Faust” di Robert Schumann
POESIA E MALINCONIA INTELLETTUALE DI SCHUMANN
Robert Schumann crebbe in un ambiente familiare estremamente favorevole allo sviluppo dei suoi vasti interessi musicali e letterari, in un'epoca e in un clima nazionale percorsi dai fermenti del Romanticismo. Dopo avere letto molto parve sul punto di lasciare la musica per la letteratura, preso dalla passione letteraria. La sua vita breve e tormentata, segnata da un profondo disagio esistenziale, è stata accompagnata dal Faust di Goethe, un testo che lo entusiasmava e lo ossessionava; la stessa genesi delle “Szenen” fu lunga e travagliata, un “viaggio” alla scoperta intuitiva (già non più totalmente romantica) del proprio “io”, emblema di una universale individualità. Quindi opera fortemente ideologica e al tempo stesso profondamente autobiografica.
Schumann tenta di decifrare Goethe, puntando a una introspezione del dramma costruita sulla pura contemplazione di quadri staccati, in sé compiuti, tenuti insieme da una logica musicale che ha il suo fondamento nell'elemento sinfonico e il suo scopo nel raggiungimento di uno stato d'animo placato, “compenetrato nell'Essere e nel Tutto” (Schumann). La musica si aggancia così a grandi temi ideologici, per presentare i quali il compositore sceglie alcuni momenti del romanzo senza preoccuparsi della narrazione, come dimostra l'esclusione delle scene più popolari, avendo il fine di esaltarne l'aspetto mistico e filosofico: il tema spirituale della salvazione. Prioritario è il contenuto poetico, il rendere gli stati d'animo sottesi al testo, che non viene adattato ma preso alla lettera.
Il risultato è un percorso interiore universale, privo di una vera drammaturgia, senza storia né personaggi. La riduzione a un genere musicale è impossibile, non essendo oratorio profano, né vera e propria opera, né sinfonia con voci e coro; per questo si è soliti rappresentarla in forma di concerto.
La prima esecuzione italiana in forma scenica di “Szenen aus Goethes Faust” ha inaugurato la stagione del Regio di Parma, teatro non nuovo a sfide, affrontate con raro coraggio e grandi competenze. Schumann è la terza tappa di un progetto centrato sulla figura di Faust, dopo il sentimentale Gounod nel 2006 e il drammatico di Berlioz nel 2007 (in attesa di sapere che cosa riservi il prossimo anno). E di “sfida” si tratta, non di “operazione”. Perchè si poteva scegliere qualcosa di più “vicino” al pubblico e invece, come dicono a Parma, si è cercato “il freddo nel letto”, mettendo in scena Schumann.
Hugo De Ana è il curatore di regia, scene, costumi e luci, come nei precedenti. Dopo il cubo di vetro per Gounod e l'enorme catino-antenna parabolica per Berlioz, De Ana ha pensato a una pedana appoggiata su una superficie butterata con lo sfondo di proiezioni (direi meglio “suggestioni visive”), cercando di dare monumentalità visiva alla frammentarietà dell'opera, di rappresentare il mistero, l'indecifrabile. I mezzi tecnici sono gli stessi de “La damnation de Faust”, con il velatino sul boccascena, le immagini, i pianeti, le rette che si intersecano, e i giochi di luce, ma qui il risultato è meno stordente, meno ridondante, meno barocco (termini usati in accezione positiva, la mano di De Ana è sempre misurata e supportata da cultura e sensibilità). La partitura in sé è simbolica, perfetta per l'estro e il talento visionario del regista, e si presta a infiniti rimandi a letteratura, religione, pittura, archeologia, astronomia e tanto altro. La massa dei simboli, arcani ed arcaici, proposta da Schumann e da Goethe viene visualizzata, sviscerata, analizzata, un affastellarsi di immagini e di rimandi. E l'occhio non si ferma mai nella prima parte che raggruppa i primi due atti, sei delle sette scene. Nella seconda parte (terzo atto, settima scena) il registro cambia, il velatino si alza, non ci sono immagini proiettate ma solo un sapiente uso delle luci e dei colori per suggerire il senso di perfezione immanente a cui il poema di Goethe guarda e la partitura di Schumann tende.
Alcuni momenti sono particolarmente riusciti, emozionanti: la scena di Ariel con ambientazione quasi shakespeariana su umori acquei (è il passaggio dall'atmosfera cupamente drammatica della prima parte a quella più simbolica della seconda, in cui Faust diviene paradigma dell'umanità intera); la Mezzanotte con fusi, fili e gomitolo a rimando di Cloto, Lachesi e Atropo (le mitiche Parche), mentre Faust misura il suo universo con goniometro e filo a piombo; la morte di Faust con i lemuri che scavano la tomba con le pale, senza vincitori né vinti. Per richiamare le precedenti messe in scena un grande cubo di vetro (Gounod) e una sfera divisa in due metà (Berlioz).
I ruoli sono tanti, delicatissimi; ogni cantante ne interpreta diversi. Markus Werba sente profondamente il personaggio di Faust, la voce è splendida, ben usata, ricca di colori e di sfumature; cosa non secondaria, il baritono è fisicamente perfetto per il ruolo e si distingue anche come Pater Seraphicus e Doctor Marianus, a cui è affidata la conclusione, la ricomposizione della sfera. Michele Pertusi è Mephistopheles (come nei due anni precedenti), ruolo qui non particolarmente impegnativo ma affrontato con le consuete bravura e classe; Pertusi è anche Pater Profundus e Böser Geist. Non soddisfacente Richard Decker (Ariel, Pater Ecstaticus, tenore), mentre Daniela Bruera è una convincente Gretchen, protagonista assoluta della prima parte (poi veste i panni di una Poenitentium). Buona la prestazione di Désirée Rancatore, anche se i ruoli appaiono poco affini alle sue corde (Sorge, Martha, soprano). Con loro Sabina Von Walther, Nino Surguladze, Stefanie Irànyi, Daniel Borowski. Ottima la prova del coro, preparato in modo perfetto da Martino Faggiani. L'orchestra, diretta da Donato Renzetti, è riuscita a trasmettere tutta la poesia e la malinconia intellettuale di Schumann, nonostante qualche sbavatura. Come sempre De Ana si è avvalso delle coreografie giuste ed efficaci di Leda Lojodice.
Pubblico tiepido durante la recita, molto plaudente alla fine, soprattutto con Marcus Werba e De Ana, a cui sono state tributate ovazioni ed urla dal loggione.
Serata molto elegante, come da tradizione per l'inaugurazione della stagione, che proseguirà con “Porgy and Bess” di Gershwin, “Così fan tutte” nel bell'allestimento dell'Opéra de Lyon e “La Bohème” per il centenario pucciniano, in attesa di conoscere il programma dell'ottobrino Festival Verdi.
Visto a Parma, teatro Regio, il 13 gennaio 2008
FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al
Regio
di Parma
(PR)