IL TAMERLANO

Il Tamerlano di Lo Cascio nella vertigine del dubbio

Il Tamerlano di Lo Cascio nella vertigine del dubbio

È possibile immaginare lo spazio di un ripensamento, un’ipotetica via di redenzione per un despota feroce, emblema della sopraffazione bellica? Le titaniche imprese del guerriero turco- mongolo Tīmūr Barlas, che ispirò l’omonimo eroe nero marlowiano del Tamerlaine The Great I e II (1587-88), offrono l’occasione al “riscrittore” e regista Luigi Lo Cascio per sviluppare questa suggestione in direzione di «un congedo», «una polemica diserzione dall’opera di partenza».

Un nuovo Tamerlano, dunque, che, pur riproponendo i caratteri originari del guerriero sanguinario, assurge alla dimensione di eroe solo nel momento in cui svela la propria umana debolezza, seppur nel momento liminare dei ricordi che precedono la morte.
Così, l’immagine del protagonista che giace sotto un mandorlo fiorito sotto una neve precoce racchiude ad anello la pièce, che procede sulle orme di un piano sequenza cinematografico composto dagli episodi di vita: una ricostruzione che, fondendo in sé millenarie citazioni artistico- culturali, si distingue per elevato valore poetico e capacità di declinare secondo il lessico delle emozioni e con originali soluzioni drammaturgiche e scenografiche l’infinito orrore della guerra, "massacro insensato che non prevede vincitori ma solo disastro diffuso e imparziali rovine".


Il dubbio di Tamerlano e l’incubo della guerra «senza tempo e senza nome»

Il candore di perdono e rigenerazione su cui si staglia la vicenda, unendo i riferimenti a celebri riproduzioni pittoriche alla suggestiva simbologia della neve, si affianca al continuo modificarsi della buia e scabra scenografia di Console - Mangano e lavora in pendant con i mutevoli chiaroscuri emotivi suggeriti dalla notevole interpretazione di Vincenzo Pirrotta, in compagnia di un cast brillante per tecnica ed intensità espressiva. Collaborano a raccontare la moderna tragicità della guerra la disposizione di cose e persone su piani asimmetrici e contrapposti - simile ad una ripresa in campo e controcampo- unita all’uso caravaggesco delle luci di Cesare Accetta e al tappeto musicale da kolossal contemporaneo di Andrea Rocca; mentre il susseguirsi degli intermezzi stranianti e stralunati - con vertici di espressionismo linguistico, procedendo alla demolizione degli stereotipi derivanti dal concetto hobbesiano della guerra «stato naturale delle cose», favorisce la progressiva presa di coscienza delle devastazioni «senza tempo e senza nome» connesse ad ogni conflitto, così come il dubitare salvifico da cui trae origine il dramma.


Dalle leggi “non scritte” dell’amore la speranza del riscatto

Sullo sfondo di un contesto narrativo che attinge ampiamente al patrimonio ungarettiano, la prima metà del lavoro tende a delineare la parabola ascendente di Tamerlano: un eroe negativo tutto impegnato ad elevarsi dalle modeste origini per tessere un’ inarrivabile scalata al potere, animato da una hybris senza freni, una sete di affermazione personale esente da scrupoli morali di machiavellica memoria. E quella che in Marlowe si mostra come una lieve crepa al gigantismo del protagonista - la passione ardente per moglie Zenocrate, poi mutatasi in folle dolore a seguito della dipartita della stessa - apre voragini di senso nella presente edizione e assesta un colpo micidiale a Tamerlano, preparandone il precipitare nel vortice della sofferenza genitoriale, un dolore inatteso dinanzi a cui egli si mostra per la prima volta inerme. Il contrasto tra le terribili prescrizioni di guerra e le leggi dettate dall’amore filiale - del tutto assente nell’omologo britannico- sospinge il Nostro verso l’atroce dubbio del fallimento, ne spezza ogni residua sicurezza, accompagnando la fine di un Tamerlano ormai soccombente, ma forse più umano.

Visto il 17-03-2018
al Verga di Catania (CT)