Milano, teatro degli Arcimbol…

Milano, teatro degli Arcimbol…
Milano, teatro degli Arcimboldi, Tannhäuser di Wagner SOLO L’AMORE E’ REDENZIONE Come non immedesimarsi in Heinrich Tannhäuser, nel suo lacerante ed umanissimo conflitto alla ricerca dell’amore totale, nel suo dibattersi fra il piacere fisico e l’ascesi spirituale? Come non immedesimarsi in Heinrich Tannhäuser, uomo profondamente romantico, rifiutato dal suo mondo, che non riesce a scegliere tra l’amore carnale e l’elevazione dell’anima? Tannhäuser è una grande opera romantica, il punto di convergenza dei miti e delle idee più caratteristici dell’immaginario romantico tedesco: vi confluiscono le leggende che stanno alle origini della storia nazionale germanica, la contrapposizione tra sensualità e misticismo, il motivo della redenzione finale attraverso l’amore. Fu lo stesso Richard Wagner a stendere il libretto dell’opera, innestando una sull’altra due leggende medioevali: la prima racconta le sfide poetiche tra i cantori d’amore all’antica corte del langravio di Turingia, la seconda (una leggenda popolare medioevale ripresa dai poeti romantici tedeschi) narra degli amori di Venere e Tannhäuser. Alle figure storiche, come i poeti Wolfram von Eschenbach e Walter von der Vogelweide (di presunti natali altoatesini, tanto che la città di Bolzano gli ha dedicato la piazza principale), Wagner aggiunse personaggi e situazioni di sua invenzione. Abbandonò per la prima volta la tradizionale costruzione dell’opera a numeri chiusi, procedendo per scene articolate e flessibili, e adottò una vocalità fluida, tra l’arioso e il declamato, affidando al contempo all’orchestra un ruolo di primo piano. Tannhäuser è un’opera esuberante, ricchissima di idee drammatiche e musicali, che danno vita a pagine memorabili, ma ciò che colpisce maggiormente è la serrata unità dell’opera. Il Maestro Jeffrey Tate ha proposto una versione magnifica, contaminando la partitura di Parigi con quella di Dresda, tra le numerose che Wagner ha scritto in una genesi musicale durata oltre trent’anni e mai compiuta. Infatti del Tannhäuser esistono, oggi, versioni plurime, che rendono praticamente impossibile identificarne una ultima e definitiva. Tate ha offerto un’edizione coerente, superba, con affascinanti, insolite e non scontate eleganze, nella forza torrenziale di una partitura che toglie il fiato, tra sensuali esaltazioni, sacra oratorialità, inni cavallereschi e delicati momenti, il tutto con coerenza ed unitarietà di grande sapienza che ha puntualmente reso il profondo senso di opera mistica consacrata alla purezza redentrice. Tannhäuser porta sulla scena il tema, tipicamente romantico, di un eroe dibattuto tra due opposte tendenze: da una parte l’attrazione per l’amore sensuale, il cui regno è il Monte di Venere, dall’altra l’aspirazione all’ascesi spirituale e all’amore cortese, incarnato nella figura di Elisabeth. Il conflitto si manifesta, oltre che nell’animo del protagonista, in un doppio spazio teatrale, con i due mondi contrapposti ed inconciliabili, luoghi delle peregrinazioni di Tannhäuser, che definiscono i poli di ogni percorso umano durante la vita. Tra gli interpreti, tutti di alto livello, si sono segnalati Adrianne Pieczonka (Elisabeth) e Peter Mattei (Wolfram). La soprano ha una voce bellissima: timbro luminoso, emissione pregevole, ha saputo ritrarre alla perfezione la malinconia lancinante e quasi ieratica di una ragazza di toccante ed utopica poeticità e al tempo stesso la trepidante partecipazione di una donna profondamente innamorata. Il baritono è superbo: timbro pulitissimo e splendido, emissione perfetta, canto chiaroscurale, fraseggio da manuale, ha commosso ed appassionato, ricercando ed ottenendo la teatralità e l’umanità del suo personaggio, una vera lezione di stile con una voce rara ad ascoltarsi. Stupende le prestazioni del Coro del Teatro alla Scala, glorioso ed autorevolissimo, e dell’Orchestra del Teatro alla Scala, equilibrata e trasparente. Mi ha convinto anche la particolare messa in scena dei giovani Paul Curran (regia) e Kevin Knight (scene e costumi) che hanno portato l’ambientazione nel Novecento, anche se non mi è piaciuto il Venusberg (seppur bella l’idea del contenitore rosso all’interno, come una specie di frutto del peccato spaccato in due, che può anche essere una vulva aperta), con momenti che ricordavano la lap dance, uomini al guinzaglio di virago in guepiere e stivali di pelle nera: troppo visto e scontato, a momenti di cattivo gusto. Suggestivo il disegno luci di David Martin Jacques: rosse come il peccato, oscure come la notte, chiare come la purezza, spettrali come la vita senza speranza e di seguito verdi proprio come la speranza del miracolo finale. Il primo ed il terzo atto hanno un denominatore comune nel bosco, luogo fuori dal tempo e dallo spazio in cui l’uomo si smarrisce e viene ritrovato dai suoi amici di un tempo, in cui si è soli e al tempo stesso in compagnia. Bella l’apparizione di Venere nel sembiante di un enorme angelo con ali amplissime, perché all’inizio Tannhäuser confonde Venere e la salvezza, che vede incarnata nel piacere della carne (sarà poi Elisabeth a mostrargli il vero volto dell’amore, la consistenza, la forza e la verità dell’amore spirituale). Il secondo atto è ambientato in una specie di parlamento (o anche un teatro scientifico, un luogo dove in altre epoche si discuteva di politica, ma anche si amministrava la giustizia e si faceva cultura), i protagonisti sono in una pedana tonda al centro. Azzeccatissima l’idea di evidenziare quanto poco Tannhäuser era accettato dagli altri poeti: non ha la spada, non ha la fascia blu nobiliare, non ha una sedia in cui sedersi (come Wagner, per niente compreso dai contemporanei). Significativa la scena finale, Venere, fasciata in un abito rosso fuoco, con ali demoniache, rifiutata definitivamente, se ne va, sparendo pian piano nell’oscurità dello sfondo, mentre Elisabeth e Tannhäuser si incamminano insieme per mano verso un’eternità che condivideranno, pienamente e consapevolmente. La forza dell’amore. Quell’amore che, solo, che ha la capacità di salvarci. FRANCESCO RAPACCIONI Tannhäuser, visto a Milano, teatro degli Arcimboldi, il 13 febbraio 2005.