In attesa della nuova produzione delle Nozze di Figaro con regia di Damiano Michieletto prevista nel mese di ottobre, la Fenice ripropone nella stagione autunnale il particolare nonché fortunato allestimento di Don Giovanni del medesimo regista veneziano, spettacolo da noi apprezzato e recensito nel 2010.
Lo spazio scenico disegnato da Paolo Fantin, che ricrea gli interni di un palazzo settecentesco arredato con sobrietà neoclassica dalle pareti damascate dai toni cinerei e sbiaditi, è parte integrante della regia e motore del dramma. Nonostante qualche indicatore di decadenza, le pareti stinte, gli abiti scuri e un po’ lisi, le luci sbieche, la situazione iniziale è fedele alla convenzione, ma dall’entrata in scena di Leporello, balbuziente e impacciato, si percepisce un senso d’ inquietudine e la scena inizia a ruotare... Le pareti mobili si spostano, s’intersecano, si allontanano, si ricongiungono, definendo spazi sempre nuovi e sempre uguali in un moto circolare e perpetuo che genera un senso di ansia mista a stordimento sempre pertinente con la situazione musicale e drammatica. La “giostra” delle pareti costringe gli interpreti a un movimento continuo e li seguiamo mentre si spostano da una stanza all’altra, s’inseguono, s’incontrano, si scontrano, senza riuscire a stabilire una vera comunicazione: marionette allucinate prigioniere di un labirinto reale e metaforico, succubi di Don Giovanni, burattinaio sadico e onnipresente che si diverte ad osservare e manipolare le vittime per cui costituisce una “magnifica ossessione”.
Michieletto porta alle estreme conseguenze l’idea che i personaggi esistano solo in relazione a Don Giovanni e anche i rapporti fra le coppie appaiono sotto un’altra luce: nel racconto della fatidica notte Donna Anna sembra rivolgersi, anziché a Don Ottavio, a Don Giovanni, con cui rivive una scena di amplesso sul tavolo. Incubo o desiderio?
Zerlinetta canta “Batti batti o bel Masetto” davanti a una porta chiusa e la negata reciprocità getta un’ombra sul rapporto fra i due giovani innamorati. Il concertato d’accusa “Trema scellerato” ha un effetto boomerang in quanto Don Giovanni con la forza del pensiero e l’imposizione delle mani schiaccia progressivamente tutti gli accusatori a terra annientandoli.
La scena del finale primo anticipa l’epilogo quando Don Giovanni redivivo rientra in scena e con un ghigno beffardo fa crollare a terra le sue vittime come marionette senza fili. Un coup de théatre che ribalta il convenzionale lieto fine: il dissoluto vive impunito, muoiono gli altri e con loro la morale della mediocrità: non è quello che avremmo sempre voluto?
Anche l’efficace light design di Fabio Barettin contribuisce all’inquietudine: le candele tremule delle appliques illuminano di luce fioca gli specchi dorati; fasci di luce proiettano le ombre dei personaggi sulle parete, deformandoli, citazione - negazione della silhouette settecentesca. Inoltre la diversa intensità luminosa crea nella scena un secondo piano più buio e oscuro, ideale punto di fuga per Don Giovanni.
Lo spettacolo richiede doti attoriali non comuni e un gioco scenico di matematica precisione, presupposti che si sono fortunatamente verificati anche nella ripresa. Pur non giocando la carta del seduttore, Markus Werba è un Don Giovanni carismatico, dal magnetismo ambiguo e distruttivo. Ipnotico e febbrile, ossessionante e ossessionato, intento a tormentare gli altri per sfuggire a sé stesso. La voce lirica è atipica per il ruolo, ma usata con intelligenza analitica risulta perfetta nel contesto, inoltre il canto sulla parola rivela il fine liederista.
Se pur balbuziente per esigenze di regia, il Leporello di Vito Priante si distingue per una voce seducente e perfettamente emessa, dal fraseggio elegante e curato, nei recitativi come nelle arie.
Anche Antonio Poli è un Don Ottavio atipico, per la voce particolarmente piena e corposa che regala nuova intensità al personaggio.
Gradevole, ma fin troppo leggero il Masetto di Borja Quiza, più autorevole il Commendatore di Goran Juric.
Fra le interpreti femminili Carmela Remigio, nonostante qualche asperità di troppo, spicca su tutte per intensità scenica e potenza drammatica e la sua Donna Elvira febbrile e lacerata, forte anche nel dolore, ci emoziona di nuovo. Anita Watson non ha la statura vocale ed interpretativa per l’impegnativo ruolo di Donna Anna e costituisce l’elemento debole del cast. Graziosa come deve essere la Zerlina di Irini Kyriakidou: la voce è forse un po’ anonima, ma il canto musicale e garbato.
In sintonia con la regia la direzione tesa e incalzante di Antonello Manacorda, adeguata nell’accompagnare il canto come nel sottolineare la progressione drammatica. Un’esecuzione musicale molto teatrale, più funzionale a mettere in luce la frenesia della produzione che non a fare scaturire il fascino sonoro e notturno della partitura mozartiana. Puntuale il coro preparato da Claudio Moretti.
Grande successo di pubblico per una produzione intelligente e riuscita che giustifica la ripresa.
Visto a Venezia, teatro La Fenice, 29 settembre 2011
Ilaria Bellini
RECENSIONE SECONDO CAST
Molto buono nel suo complesso anche il secondo cast: su tutti spiccano Simone Alberghini e Alex Esposito.
Alberghini veste i panni di un Don Giovanni che, da un lato, è cacciatore senza freni e inibizioni, dall'altro, soprattutto nell'intensissimo finale in cui tutto il mondo pare ruotare intorno a lui, anche umanissimo nell'avviarsi a testa alta verso quella deriva tragica che lo porterà alla dissoluzione, in un certo qual modo odiato e amato da tutti che, senza lui, paiono quasi smettere di vivere. La voce è bella, brunita, robusta, l'emissione impeccabile, molto curato anche il fraseggio dei recitativi.
Alex Esposito è uno straordinario Leporello balbuziente e insicuro, molto convincente dal punto di vista di una recitazione sempre brillante, ma mai debordante, dal dinamismo sfrenato, ma senza sconfinare nella buffoneria. A tutto ciò egli sa unire una vocalità solida e potente utilizzata con molta naturalezza e senza forzature in ogni passaggio.
Qualche leggera iniziale debolezza in acuto e incertezza di intonazione per il don Ottavio di Mario Zeffiri poi risoltesi nel proseguo, in cui l'artista ha comunque mostrato la sua piena adeguatezza al ruolo interpretato.
Elena Monti veste i panni di Donna Anna ed evidenzia una buona scioltezza attoriale, ma anche alcune difficoltà nelle agilità e negli acuti che paiono talvolta un poco forzati.
Una donna Elvira nervosa, ma per certi versi titanica, splendidamente interpretata da Maria Pia Piscitelli che, vocalmente, mostra di possedere uno strumento potente e dal colore piacevole, utilizzato in modo tecnicamente corretto.
Buoni anche il Masetto di William Corrò che ha palesato una voce dal bel timbro caldo, la convincente Zerlina un po' civettuola e per certi versi spregiudicata di Caterina di Tonno e il Commendatore, in carne e ossa e non in veste di statua, di Abramo Rosolen.
Sul podio il maestro Antonello Manacorda che imprime una direzione drammatica, scarna, ma precisa, impartendo all'orchestra della Fenice tempi sempre molto serrati.
Alla fine dello spettacolo il pubblico, formato in gran parte da cittadini stranieri, ha tributato applausi scroscianti a tutti gli artisti.
Visto a Venezia, teatro La Fenice, il 30 settembre 2011
Simone Manfredini