Carlo Cecchi ritorna a Moliere. Nel 1976 egli debuttò nella regia con “Il borghese gentiluomo”, e, dopo “Il Misantropo” messo in scena esattamente dieci anni dopo, ci son voluti vent’anni perchè approdasse a “Tartufo”, senza dubbio il testo più completo di Poquelin, denso di satira sociale e di introspezione psicologica, uno dei pochi del drammaturgo francese che potremmo definire corale, tanto i personaggi sono disegnati con cura ed acume. Cecchi, come già fece Toni Servillo qualche anno fa, riserva per se il ruolo di Orgone, vittima volontaria dell’arrampicatore Tartufo (ma per correttezza dovremmo dire Tartuffo, poiché fu un’approssimativa traduzione italiana di alcuni secoli fa, diventata poi consuetudine, che erroneamente riportò il nome del protagonista al tubero). Vera protagonista di questa rappresentazione risulta la traduzione del compianto Cesare Garboli, che alterna modernismo espressivo al classicismo dello stile in versi, che pur se efficace nel rendere la letterarietà originale del testo, spesso costringe gli attori ad una recitazione forzata. La regia di Cecchi è rigorosamente formale ed impeccabilmente tradizionale, ed ad essa si adeguano le interpretazioni del nutrito cast, in cui spiccano tre prime donne quali Angelica Ippolito, convincente Madama Pernella, severa e svagata, di grande presenza scenica, Iaia Forte, divertente e popolare Dorina, serva padrona impicciona e logorroica, e soprattutto Licia Maglietta, che per la seconda volta, dopo la succitata edizione di Servillo, veste con grande efficacia il ruolo di Elmira, la scaltra e determinata moglie di Orgone, a cui regala la sua sensualità e la sua molteplicità di toni. Buone anche le prove di Vincenzo Ferrera (Damide) e Alessandro Baldinotti (Cleante), ai quali l’insidia dei versi non scalfisce la credibilità delle interpretazioni. Meno convincenti appaiono, purtroppo, Valerio Binasco, che non riesce a dare abbastanza credibilità al personaggio del titolo, di cui si perdono gran parte dei colori, Viola Graziosi e Francesco Ferrieri, che non vanno oltre la tiepida e consueta interpretazione da “innamorati”. Di Carlo Cecchi attore che dire? Che egli sia uno dei nomi più celebrati del nostro teatro, è cosa buona e giusta, ma forse in quest’occasione poteva risparmiarsi l’ eccesso di gigionismo con cui gioca nel sottolineare i lapsus (veri?) di memoria, strizzando l’occhio, in maniera davvero sproporzionata e poco consona al suo indiscusso valore di attore, al pubblico che, naturalmente, gradisce e si diverte, tributando a lui ed a tutto lo spettacolo risate ed applausi. Ed il pubblico ha sempre ragione. O no?
Napoli – TEATRO MERCADANTE 21 Febbraio 2007
Visto il
al
Fraschini
di Pavia
(PV)