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TEATRI DEL TEMPO PRESENTE DIECI PROGETTI PER LA NUOVA CREATIVITà

Kin Keen King Su di una sc…

Kin Keen King

Su di una sc…
Kin Keen King Su di una scena vuota, con alle pareti dei tromp l'oeil classicheggianti (colonne, e, dietro, una natura naturans), nella penombra del palco infittita da un fumo che pervade anche l'intera platea, si muove una figura nera, filiforme, le braccia lunghissime, le mani adornate di lunghi artigli. Una musica inquietante fatta di grida tribali arrangiate in accordi armonici sostiene i movimenti della figura, meno di una danza più di un cammino. Una pelle nera lucida e organica, catramosa e inquietante, veste il performer completamente. L'unico segno dissonante le scarpe in perfetto stile settecento. La figura si muove sinuosa, elegante, agilissima. Ci mostra una schiena arcuata, delle vertebre sulla schiena così spesse da formare una sorta di cresta, quand'ecco che, su l'impennare della musica, si erge e mostra una testa abnorme, ovale, lunghissima, priva di occhi e di altri orifizi. Una visione inquietante che ripesca direttamente nell'inconscio ancestrale. Un incubo che fa mancare il fiato. Questa mostruosità, questo uomo nero, si muove come un ragno, braccia e gambe a terra busto a favore di pubblico, portando fiera la propria testa regale. L'occhio dello spettatore reinterpreta subito la sua figura e le braccia e le gambe paiono, commisurate alla testa sproporzionata, ancora più filiformi. Un effetto della Gestalt che rende la figura ancora più estranea e aliena. Nella sua posizione di voyeur che può guardare senza correre rischi lo spettatore è sedotto dai movimenti della figura numinosa e lo choc cede posto al piacere. Poi la figura scompare e il suo posto è preso da due figure, cui se ne aggiunge in seguito una terza, più chiaramente umane. Si distinguono dei visi, dipinti di bianco sui quali delle strisce nere cancellano (data la scarsa illuminazione del palco) ora gli occhi ora la bocca. Sono figure ricoperte di peluria stiliforme e lucente, delle ...piume su di un costume che ricorda quello degli sciamani della nuova Guinea. In due, in tre costruiscono figure, passi, si uniscono per comporre un unico corpo. La musica è sempre quella inquietante di prima ma la nuova evoluzione dalla figura da primigenia, mostruosa e aliena a più umana, mostra, deludendo, come dietro il terrore ci sia (in confronto) il ridicolo. Il numinoso precedente è sostituito da una danza impacciata, dei costumi che imbolsiscono i performer. E allo choc della prima parte segue un senso crescente di delusione e irrilevanza. Sconvolge questo Kin Keen King una ricerca sulla regalità che parte dalle quattro lettere della parola King (re) analizzate nella loro valenza onomatopeica quel Kin (i breve) che diventa Keen (i lunga) prima di King, come nel tintinnare di una goccia. Molto suggestive le note di regia: All'inizio è solo un abbozzo: la testa mancante di un feto incompleto. Poi l'urlo di uno scafandro sottomarino mette in mostra la testa enorme e crudelmente bella, un cranio dolicocefalo che ricalca l'ombra di stirpi regali e sacerdoti serpenti. Queste coordinate pre-culturali e inconsce sono toccate con grande precisione dalla performance. E dopo questa vertigine mostruosa la seconda parte della performance delude evocando istanze colonialiste mostrando immagini di una cultura altra che, non capita, viene catalogata sotto la categoria del pittoresco. Un modo spiazzante e marginale per uscire dallo sconvolgimento di prima, una deprivazione, una sottrazione e una sostituzione con il corrispettivo di Josephine Baker che danza nuda con un casco di banane indosso. Questa la sensazione (discutibilissima e personalissima) che ci hanno suscitato le tre figure finali. E noi siamo usciti dalla sala con una perversa e inquietante nostalgia per il principe-serpente scomparso per sempre. La compagnia cesetana Dewey Dell (un omaggio a Faulkner e alla giovane ragazza di Mentre morivo) composta dai fratelli (sorelle) Teodora, Agata e Demetrio Castellucci ed Eugenio Resta (Teodora è autrice delle coreo-azioni e dell'ideazione dei costumi, Demetrio compone le musiche, Eugenio disegna le luci e cura gli aspetti tecnico produttivi, mentre Agata è la modella) promuove una ricerca che abbraccia in un campo unico di sperimentazione la danza e il teatro ai quali si aggiungono l'aura della performance e quella della ricerca musicale. Un percorso intrigante (per quanto non ancora del tutto convincente) e in continua evoluzione se si confronta questo Kin Keen King con il lavoro precedente (per il quale è nata la compagnia) A' elle vide che è stato ospite al Palladium di Roma lo scorso Aprile e del quale avevamo già avuto modo di parlare. Là il gallo e lo scorpione qua figure umane deformate, rese qualcosa d'altro, allestite e organizzate per essere viste. Ma non una visione passiva ed estetizzante ma sempre attiva, coinvolgente, squisitamente emotiva. Kin Keen King Con: Eugenio Resta, Teodora Castellucci, Agata Castellucci Ideazione, coreografia, costumi: Teodora Castellucci Musiche originali, luci: Demetrio Castellucci Scenografia, cura del progetto, assistenza alla produzione, luci: Eugenio Resta Assistenza tecnica: Tiziano Ruggia Realizzazione costumi: Carmen Castellucci, Daniela Fabbri, "Il Pattino" Realizzazione parti scenografiche: Rinaldo Rinaldi Organizzazione: Cinzia Maroni Produzione: Dewey Dell (Teodora Castellucci) / fies factory one Coproduzione: centrale FIES, Festival de Marseille, UOVO performing arts festival In collaborazione con: AMAT / Civitanova Danza, Teatro Petrella di Longiano, OperaEstate Festival Veneto, Plastikart La terza conversazione Gli spettatori sono invitati ad entrare in una stanza, raccogliere uno dei palloncini gonfiati (di un inusuale colore nero) e accomodarci per terra. Di fronte a noi tre casse acustiche, una immensa per i bassi, sulla quale sovrasta un cubo di legno. Alle loro spalle una telecamera riprende la performance. Un ragazzo, scalzo, sale sulla cassa di legno e comincia la sua interpretazione fisica del suono emesso dalle casse fatta di gesti ed espressioni del volto. Non un rumore, nemmeno una musica. Tutte e due e nessuna delle due. Il performer è sordo e riconosciamo in lui la gestualità e le espressioni facciali della LIS la lingua italiana dei segni. I palloncini che gli spettatori tengono in mano catturano e amplificano il suono registrandolo come vibrazioni dell'aria in maniera analoga, presumiamo, a quello che deve sentire il performer al quale le vibrazioni giungono dalla pianta dei piedi su per tutto il corpo. E dei rumori altrimenti insignificanti acquistano una valenza, uno spessore, diventano conversazione. Questa performance è stata creata da Francesca Grilli per un progetto in più fasi intitolate “Conversazioni”. Partendo dall’osservazione del mondo dei sordi fa di un linguaggio silenzioso un metodo per investigare la realtà, rivelandone l’ordinario e il fantastico. In questa terza Conversazione Invito un cantante sordo ad interpretare un rumore. Lasciando sempre la possibilità che le cose non siano così tranquille e silenziose come sembrano. La terza conversazione una performance di Francesca Grilli interpreti Nicola Della Maggiora musiche rumore Sergio Ricciardone, Daniele Mana e... composizione Alfonso Marrazzo regia in Lis - Lingua dei segni italiana Rosario Liotta interprete Eleonora De Fazio produzione Francesca Grilli / Fies Factory One coproduzione centrale FIES in collaborazione con CANGO Cantieri Goldonetta Firenze, Contemporanea/Colline/Festival 2008, Rijksakademie van beeldende kunsten, Amsterdam, NL, Ufficio Giovani Artisti del Comune di Bologna con il contributo di Ambasciata del Regno dei Paesi Bassi, Roma, Fies Factory One Vincitore di NUOVE CREATIVITA’ progetto sostenuto dall’ETI Ente Teatrale Italiano Francesca Grilli è sostenuta dal progetto Fies Factory One Seconda serata dedicata a Fies Factory One Roma, teatro Valle, visto il 24 maggio 2009
Visto il
al Valle Occupato di Roma (RM)