Postilla
Postilla è uno spettacolo per uno spettatore solo. Non uno spettacolo su palcoscenico al quale assiste un solo spettatore, altrimenti sarebbe, purtroppo, solamente uno dei tanti spettacoli con pochi spettatori. Postilla è concepito per rivolgersi ad un unico spettatore aprendo così delle possibilità altrimenti precluse al classico teatro borghese quello della tanto vituperata quarta parete.
Postilla sviluppato per stazioni comincia già prima che lo spettatore giunga nel luogo deputato alla rappresentazione. Accolto da un attore (Alessandro Miele) che si presenta come un responsabile della compagnia (menoventi) l'unico spettatore è sollecitato a seguirlo di corsa, verso il luogo dove lo spettacolo renderà luogo.
L'attore lo indirizza verso una scala, indicandogli una stanza illuminata.Dopo qualche attimo che permette allo spettatore di ambientarsi, mentre il suo umore è sostenuto e modificato da una musica d'ambiente, un secondo attore (Gianni Farina, che firma anche la regia), in giacca e cravatta, lo prega di adempiere a una formalità, una curiosa liberatoria che lo spettatore è chiamato a firmare per poter assistere allo spettacolo.
In realtà senza ancora saperlo, lo spettatore è già nello spettacolo. Di nuovo solo lo spettatore è lasciato libero di muoversi. Fuori dalla stanza, nell'atrio dal quale è venuto una scritta di luce saluta quel che ha dovuto vendere per assistere alo spettacolo. Poi da dietro una tenda una voce lo chiama per nome e cognome.
Ogni nuova stazione è un addentrarsi in una atmosfera di mistero, di ansia, ma anche di estremo compiacimento: tutto è organizzato per quel singolo spettatore che non ha mai la sensazione di essere uno dei tanti anonimi astanti che possono guardare lo spettacolo, ma è davvero Lo Spettatore per eccellenza, l'unico per il quale lo spettacolo si fa, del quale gli attori sono consapevoli non solo della sua presenza ma anche della sua identità tanto da chiamarlo per nome e cognome e parlare con lui.
Nella nuova stazione una donna misteriosa (Consuelo Battiston) lo accoglie mormorandogli parole impercettibili, coperte da una musica forte e sempre più coinvolgente) che lo conduce in un altro ambiente dove può assistere ad a una scena canonica da teatro borghese: un dialogo tra due personaggi (interpretati dai due attori che ha già visto) i quali, seduti a tavola, cenano (su dei piatti rigorosamente vuoti) parlando di uno spettacolo che hanno visto (com'è ? E' strano), e poi parlano degli occhi di qualcuno (i suoi?) che per l'attore sono tutti uguali per via della lampada alogena che li rende grigi mentre l'attrice li ha visti e dice che sono scuri.
Se nelle stazioni precedenti lo spettatore era visto dagli attori che interagivano con lui, ora torna ad essere un voyeur e assiste non visto a una scena di dialogo, ma non fa in tempo ad abituarsi ad essere tornato al suo ruolo abituale che un terzo attore (quello che lo aveva accolto all'inizio sollecitandone la corsa) lo affianca e assiste con lui alla scena, commentandola sommariamente, chiedendogli cosa ne pensa e senza aspettare risposta dice per lui così così. L'attore allora cerca di modificare la scena proponendo di fornire almeno dei cibo vero ai due personaggi per rendere la scena più realistica.
Lo spettatore si volta per seguire gli spostamenti dell'attore che prende un vassoio colmo di frutta dall'altra parte della stanza e, quando si rigira verso il tavolo, i due attori sono scomparsi. Il terzo attore, colto da un momento di consapevolezza, mente la musica si interrompe e lui fa cadere il vassoio con la frutta, chiede allo spettatore che cosa ci fa lì, e alla sua risposta che è lì per vedere lo spettacolo indica il palco dove l'attore invita l'attrice a firmare un foglio, nonostante le gridi di non farlo. Poi, divertito, commenta che lei sta rifacendo qualcuno (dice allo spettatore il suo stesso nome e cognome, che lui conosce bene), alla perfezione. Dopo ulteriori espressioni di gusto l'attore invita lo spettatore a vedere almeno il finale e, dopo un cambiamento improvviso di luci, ecco il fonico chiedere se la musica era troppo alta e l'attrice chiedere com'è andata la messinscena. Di nuovo solo lo spettatore è raggiunto dal primo attore che gli restituisce il foglio firmato all'inizio dietro un piccolo compenso in danaro.
Ogni stazione prepara lo spettatore alla stazione successiva, costituendo una sorta di percorso ideale che va dall'immedesimazione al distacco al contemplare se stesso su di un palcoscenico. Con una leggerezza di tocco costante e un divertito senso ludico che pervade tutta la messinscena senza che l'operazione diventi parodia o farsa, Postilla propone una riflessione totale sul Teatro, l'unico evento dello spettacolo di massa che possiede ancora quell'aura che Benjamin vuole scomparsa da quando fu introdotta la riproducibilità tecnica. A differenza di un film, che una volta girato è sempre quello, ogni messa in scena, ogni replica teatrale è un evento unico perché fatto da persone in carne ed ossa e visto da spettatori in carne ed ossa e diversi.
Questa caratteristica è amplificata dal fatto che a presenziare lo spettacolo ci sia un solo spettatore che all'inizio è attore inconsapevole via via sempre più coinvolto direttamente in quel che accade in scena, poi riportato al suo ruolo di voyeur passivo del teatro classico (lo stesso del cinema per intenderci) e quindi portato a osservare su un vero palco degli attori che, in qualche modo, interpretano proprio lui stesso.
Un modo elegante per ragionare sul teatro e la sua finzione, sulla rappresentazione della realtà, sulla distanza tra attore e personaggio che non è poi così diversa da quella che segna l'attore dallo spettatore, quello passivo del teatro borghese, chiamato anche lui a seguire un ruolo, quello di chi assiste ma che, pur potendolo fare, non salirà mai sul palco a interagire direttamente con gli attori, mentre qui è chiamato a relazionarsi con dei personaggi, a vedere la messa in scena nel suo prima e nel suo dopo il canonico farsi, tutti elementi che partecipano allo sviluppo drammaturgico perché se il teatro è un rito lo è sin da quando si accede in sala.
Una ricerca straordinaria se si pensa che Postilla è ancora solo uno studio che immette la compagnia Menoventi direttamente ai primi posti di quel teatro di ricerca colto e profondo, ma anche laico e (auto)ironico che proprio perché non si prende maledettamente sul serio riesce a proporre una ricerca seria e onesta.
Postilla
studio di Alessandro Miele
Consuelo Battiston, Gianni Farina
con Consuelo Battiston
Alessandro Miele e Gianni Farina
regia Gianni Farina
produzione Menoventi, es.terni festival
Roma, Teatro Goldoni di Palazzo Altemps 17, 18 e 19 maggio 2009
Visto il
al
Valle Occupato
di Roma
(RM)