The Skinny Distance
Da piccolo facevo spesso un sogno, in cui numerosi quadrati colorati scorrevano lungo linee parallele. La distanza tra le linee era tale che, al passaggio, i quadrati sembravano sempre toccarsi ma procedevano mantenendo tra loro una distanza infinitesimale. Mi stupivo della perfezione di questo mondo geometrico, anche se dal principio sentivo l’angoscia per il momento in cui si sarebbe incrinato. Finché due quadrati effettivamente si toccavano. Tutto diventava buio ed io mi svegliavo di colpo. Daniel Blanga GubbayLa compagnia veneta Pathosformel ci ha regalato iersera, al Valle, nell'ambito della rassegna Teatri del tempo presente, un'emozione unica, uno spettacolo prezioso, intelligente, indimenticabile dal titolo The Skinny Distance, reso in italiano con La più piccola distanza. Sul palco campeggia un telo nero che copre il boccascena completamente lasciando scoperta solo una parte centrale, aperta, dietro la quale si vede una parete di fondo, bianca. Dai lati della parte scoperta del telo nero partono delle linee , che attraversano, parallele, tutta l'apertura. Se non fosse per quei righi da pentagramma l'apertura somiglierebbe allo schermo di un cinematografo sviluppato in profondità, in prospettiva. Per volontà dei performer le prime dieci file di poltrone sono libere, ci sediamo tutti all'undicesima fila di poltrone in poi, rimanendo nei posti centrali, tanto che qualcuno deve accomodarsi nei palchi di platea. Davanti al boccascena tre musicisti ci danno le spalle, e attendono, armeggiando coi loro strumenti, un organo e due strumenti a corda. Le luci in sala si spengono e uno dei due violini emette una nota, una sola, tenuta con incertezza. Ed ecco che, scorrendo silenziosamente sulle linee che capiamo essere dei cavi, sul palco compare un quadrato, di colore nero. Si sposta lateralmente sulle linee, sembra timido nel suo muoversi, ricorda una nota sul pentagramma ma quelle sono rotonde e su cinque righi paralleli qui i cavi disegnano una sequenza diversa: due cavi vicini, e la coppia si ripete regolarmente a intervalli di una distanza maggiore. Intanto compaiono altri quadrati, rossi, blu, da entrambi i lati della scena, a diverse altezze, prima due, tre poi tanti, anche più quadrati sugli stessi cavi (come fanno a muoversi, individualmente?) e quando passano a diverse altezze, uno sopra l'alto, si sfiorano e sembrano quasi toccarsi. I quadrati si muovono liberamente, scorrono, si fermano, tornano indietro, vanno lenti, veloci. All'inizio sembrano corrispondere graficamente alle note emesse dagli strumenti, ogni nota un quadrato, i quadrati più in alto segnano le note acute quelli più in basso quelle gravi, il movimento segna le note emesse, quelli fermi la loro conclusione. Ma poi la corrispondenza varia e non si sa se sono i quadrati a seguire la musica o viceversa. L'allestimento sorprende per l'apparente semplicità del suo meccanismo che cela, invece, una precisione e una complessità notevoli. I quadrati ricordano Mondrian e l'arte astratta in genere, partitura emotiva tra immagine e suono, traduzione grafica della musica o commento musicale del movimento, che commuove e tiene lo spettatore col fiato sospeso. Poi l'atmosfera si dirada, i quadrati acquistano una vita propria, sembrano emanciparsi dalla musica e raccontare una storia. Animati da una propria personalità che si esprime nel movimento, nella sua speditezza o timidezza (alcuni quadrati tremano non per difetto della struttura, ma come ulteriore possibilità di movimento), si incontrano come atomi nello spazio, polvere nell'aria, le persone di una piazza. Intanto l'intensità dell'illuminazione dietro la struttura aumenta mentre la musica si fa più composita, con più note emesse contemporaneamente, accenna a una melodia, poi a un'armonia mentre i quadrati aumentano di numero. E se due quadrati dovessero trovarsi sugli stessi cavi in direzioni opposte, in rotta i collisione, cosa succede? Accade una volta sola: i quadrati si fermano e con essi la musica. Poi l'illuminazione diminuisce di intensità e i quadrai sembrano tutti dello stesso colore... Il lor movimento riprende, più timido, crepuscolare, nostalgico, fino alla conclusione su dissolvenza in nero, mentre gli strumenti emettono le ultime note a lungo tenute. The Skinny Distance dura 35 minuti ma la percezione del tempo soggettiva fa credere che siano passati pochi secondi, oppure una vita intera. Sorprende la versatilità di una istallazione sollecitata al massimo delle sue possibilità meccaniche senza una sbavatura, tutto sembra muoversi per conto proprio non ci avvediamo dei due animatori (ignoriamo il meccanismo di trasmissione del movimento) che alla fine della performance escono a prendersi i meritatissimi applausi. Non basterebbe lo spazio di un saggio per illustrare solo le prime implicazioni di questo allestimento. Qui non possiamo che sfiorarne alcune arbitrariamente. Colpisce in primis l'assenza del corpo dell'attore, la sua presenza fisica concreta sostituita da un meccanismo che l'attore muove, guida, cui dà vita. Non un percorso così diverso da quello della recitazione canonica in realtà, solo che stavolta il corpo del personaggio non coincide direttamente con quello dell'attore ma, pur fisicamente diverso, prende vita comunque grazie allo sforzo dell'attore che armeggia dietro le quinte. Colpisce poi il portato percettivo dell'allestimento che connette in uno squisito connubio sinestetico stimolazione visiva e sonora, che parlano direttamente all'emotività dello spettatore, scavalcando ogni mediazione culturale, ogni riferimento colto, (facilmente individuabili, riflettendo sull'allestimento dopo la visone, a freddo). Qualcuno di questi riferimenti è riportato in una sorta di dialogo (lo potete leggere nel sito di centralefies che ha ospitato Pathosformel lo scorso anno dando modo di portare a compimento questo progetto. Sorprende questo nuovo lavoro per la capacità di approdare a risultati così diversi dallo spettacolo precedente (del quale avevamo già avuto modo di parlare in occasione delle due serate Fies Factory al Palladium lo scorso aprile) pur partendo dalle stesse premesse estetiche. The Skinny Distancesorprende infine per le sue qualità analogiche. In un mondo di digitalizzazione spinta, di azzardate estetiche del virtuale (che nascondono invece facili scorciatoie economiche ed estetiche) di confusione tra reale e sua rappresentazione digitale, Daniel Blanga Gubbay e Paola Villani si muovono ancora tra cavi e chiodi, tra quadrati di compensato e musica suonata dal vivo, con i mezzi scenotecnici di sempre Sono il punto di vista e la ricerca ad essere contemporanei e a dimostrare come l'ubriacatura digitale sia effimera e per molti versi già superata. Non sorprende invece la vitalità di una ricerca che già da diverso tempo caratterizza Fies Factory che ha deciso di sostenere diversi progetti, come quello splendido di Pathosformel. L'arte e il teatro italiani sono più vivi che mai basta che qualcuno si ricordi di dare loro modo di esprimersi. L'Eti se ne è ricordato (finanziando Fies Factory e gli altri nove progetti presenti in rassegna) e i risultati gli fanno onore. The skinny distance La più piccola distanza con Daniel Blanga Gubbay Paola Villani con la collaborazione di Danilo Morbidoni produzione Pathosformel Fies Factory One - Centrale Fies con il sostegno di Santarcangelo Festival 2008, L’Arboreto - Teatro Dimora di Mondaino Roma, teatro Valle 19 maggio 2009
Visto il
al
Valle Occupato
di Roma
(RM)