Nonostante la pioggia abbia provato a disturbare il Festival, la quarta serata di questa sesta edizione di Teatri di vetro non poteva riuscire meglio.
Una serata dedicata alla danza con una escursione nella performance che ha lasciato il segno per la differenza tra i percorsi di ricerca proposti ma anche per la stessa felice qualità dei risultati ottenuti.
La serata si è aperta con Spic & Span di foscarini:nardin:dagostin.
Incontratisi a Bassano del Grappa (VI) nel luglio del 2010, nell'ambito del workshop Accademia Mobile di Emio Greco, Francesca Foscarini (1982) danzatrice e giovane coreografa indipendente, finalista al Premio GdA Veneto 2009 con Kalsh, Nardin (1988), Giorgia Nardin, danzatrice laureata presso la Northern School of Contemporary Dance di Leeds (UK) e Marco Dagostin (1987) danzatore e giovane coreografo indipendente, vincitore del Premio GdA Veneto 2010 con Viola, si ritrovano casualmente riuniti, con il compito di sviluppare una breve azione performativa. Il risultato di questo lavoro li convince a proseguirne la ricerca tramite il progetto Spic & Span.
Provenienti da esperienze e ambiti diversi approntano un lavoro insignito della Segnalazione Speciale della tredicesima edizione del Premio Scenario, nel quale indagano l'idea di bellezza (de)strutturandone la concettualizzazione di modello.
La coreografia impone ai tre esecutori (esecutrici) lo stesso costume omologante (stessi colori pieni à la benetton) gli stessi occhiali da sole, che ridisegnano fisionomie e connotati, e dei movimenti frivoli e sbarazzini complessi nell'esecuzione compiuti in una perfetta commistione di unisono e ritardo e anticipazione, esacerbata in chiave ironica dove il perfetto equilibrio tra danzatrici e danzatore non concede distinzione alcuna. Tre figure intercambiabili, omologhe e analoghe, figlie dell'estetica del commercial televisivo, di una certa retorica del corpo e della bellezza asettica, colorata e giovane.
Partendo dall'immagine come elemento autoreferenziale di ogni racconto iconico foscarini:nardin:dagostin traducono la riconoscibilità di quelle immagini in un repertorio di gesti altrettanto riconoscibile sul quale costruiscono una drammaturgia in un continuo rimando tra costruzione e distruzione dell'immagine innestandosi nell'immaginario collettivo della pop art e del fumetto dai quali riprendono un certo nitore formale del segno grafico (sfondo bianco della scena sul quale spiccano i costumi dagli abili accostamenti cromatici) approdando al richiamo esplicito della réclame con l'ostentazione delle bottiglie di detersivo Spic & Span il cui contenuto viene bevuto sempre secondo una serie di gesti coreografati, ossessivi, compulsivi. La coreografia impiega e propone un vocabolario gestuale che tenendo in considerazione due componenti: il mondo immediatamente riconoscibile delle vetrine dei negozi e delle copertine di Vanity Fair, e l'astrattezza di un movimento
considerato nella sua pura fisicità come si legge nella scheda di presentazione del progetto, si staglia come crocevia tra ricerca coreutica, programma estetico e critica artistica memorabile e indimenticabile.
Un progetto sostenuto anche da una ricerca musicale che spazia dal trio Lescano a sonorità più contemporanee in una proposta di spettacolo all'insegna dell'(auto)ironia in un ambiente come quello della danza che si prende di solito maledettamente sul serio.
Nello stesso segno dell'ironia è anche Qualibò N-esimo progetto fallimentare.
Una danzatrice e il suo tecnico luci dopo aver ringraziato compitamente il teatro e gli astanti annunciano al gentile pubblico la selezione di spettacoli che intendono mostrare quella sera. Un quadro di danza classica, uno di contemporanea accademica, un terzo di contemporanea astratta e un site specific per singolo spettatore.
L'esecuzione delle diverse coreografie è affidata a un sostegno tecnologico di fortuna. L'aria lirica che fa da colonna sonora alla coreografia classica è emessa da un cellulare che la danzatrice tiene per tutto il tempo nel palmo della mano, mentre il tecnico la illumina con due faretti che a tratti abbagliano il pubblico. La coreografia di contemporanea accademica viene eseguita a singhiozzo tra una enunciazione e l'altra degli elementi che servono per la sua realizzazione (tra gli altri sala prove, ufficio stampa, provvigioni e stipendi per le maestranze...). La coreografia di contemporanea concettuale è eseguita sulle note insicure del carrillon elettronico di un giocattolo, e il tecnico impiega due lunghi tubi al neon per illuminare la danzatrice altrimenti al buio.
Tra ironia e autoironia (la quarta coreografia, site specific è davvero eseguita solo per uno spettatore scelto a caso tra il pubblico, svolta dietro le quinte) lo spettacolo illustra lo sforzo, la difficoltà e la precarietà di un lavoro sempre meno riconosciuto eppure svolto la stessa precisione, maestria e cura. E mentre alla fine delle performance il duo cerca di vendere le coreografie e poi se ne va con aria scocciata, a luci accese in sala, come nei titoli di coda di un film, ritorna sul palco per regalarci una coreografia in più stavolta senza luci, il tecnico tiene di in mano delle semplici gelatine (quelle strisce trasparenti che servono a colorare le luci di scena). Realtà e rappresentazione si scambiano ripetutamente i ruoli in uno spettacolo che si fa riflessione totale sull'arte della danza presentando al contempo una estetica e una poetica precise, vive e intelligenti.
produzione QuaLiBò
progetto vincitore GDʼA Puglia 2011
con il sostegno di Dansystem - PO FESR PUGLIA 2007-13
Teatri Abitati - una rete del contemporaneo | Ass. Cult. Trail Dire e il Fare
Da questa riflessione Chiara ha chiesto a vari artisti di allestire una performance di ricomposizione del suo corpo che prendono la forma di frammenti autonomi in ognuno dei quali un diverso artista articola il proprio universo estetico, in un discorso nel quale i linguaggi si contaminano.
Due i frammenti presentati all'Angelo Mai.
Rispetto le dichiarazioni programmatiche il frammento numero zero rimane quello più ostico, più faticoso da seguire, un po' farraginoso, nel quale una voce registrata segue il filo di una serie di ragionamenti sul crinale sempre più spinto dell'ermetismo, dove la manipolazione digitale che effettua numerosi tagli che spezzano il fluire originale del respiro della voce registrata è evidente e fastidioso perchè mutila il libero scorrere dell'energia del parlare - un effetto forse voluto? -. Intanto che la voce parla un performer agisce su alcuni dispositivi: le casse da cui è riprodotta la voce registrata viene sollevata a mezz'aria, una sfera riflettente da discoteca rimanda i raggi di luce che si rifraggono nel fumo denso e acre che il performer produce accendendo degli appositi candelotti, inondando lo spazio espositivo e la platea (che prorompe in un tossire più ipocondriaco che concreto), sfera che viene sollevata assieme al performer stesso. Tra un evento e l'altro passa un lasso di tempo dal ritmo incerto ed esitante che estranea e distrae.
Un frammento ostico che acquista subito un suo perchè appena compare in scena Riccardo Buscarini che tiene avvinta al suo corpo Chiara come un corpo solo. Riccardo gira su se stesso ripetutamente mostrando la fisionomia e le fatture del corpo di Chiara Bersani al pubblico. Le mani e la testa grandi da adulta sul corpo minuto e corto che impercettibilmente scivola a terra mentre Riccardo, fungendo da contrappeso, le permette di stazionare eretta, offrendosi come punto di appoggio fino a quando Chiara gli monta sulla schiena e lo cavalca, amazzone spigliata e trionfante. Intanto l'altro performer aziona una serie cospicua di abat-jour disseminate sulla platea antistante il proscenio accendendole una dopo l'altra. Tutti i movimenti descritti sono eseguiti con una estrema lentezza che strema Riccardo che, alla fine della performance cade a terra, mentre Matteo Ramponi tira a sé tutte le abat-jour che ha acceso, tutte collegate da un intricato innesto di prolunghe elettriche, Riccardo giace prono, mentre Chiara, seduta vicino, gli pone una mano sul diaframma, il ventre del perfomer che si alza e abbassa, mosso da un respiro affannato, finché all'improvviso il contatto fisico si trasforma in un guizzo erotico e scatta il bacio sul quale scende il buio conclusivo.
Il frammento zero costituisce una sorta di prologo, premessa straniante e disturbante per dare maggiore profondità alla mostrazione di Chiara e del suo copro peculiare il cui senso profondo non è ovviamente il mostrare la diversità ma una ricerca visuale cui Chiara aderisce col proprio corpo.
Molte le suggestioni di questo secondo frammento infatti dalla Volta del titolo che è una danza rinascimentale nella quale il cavaliere sosteneva la dama facendola voltare in aria all'iconografia dei santi (il viso ieratico e sereno di Chiara, la calma interiore con cui cavalca Riccardo non toccata dalle cose di questo mondo, proiettata direttamente nel divino). Quel che colpisce ed emoziona è la generosità con cui Chiara si espone allo sguardo indagatore della platea che esplora tocca e interroga con gli occhi il suo corpo riconoscendone, pur nella fisionomia diversa, un impulso vitale un erotismo una sensualità comuni. Una mostrazione che si svolge con una precisione cui corrisponde anche la relativa pericolosità dei movimenti cui Chiara si sottopone che, se eseguiti male, possono portarla a cadere e a ferirsi, data la sua fragilità ossea in un cortocircuito tra rischi simbolici e rischi concreti cui l'artista si sottopone sempre e comunque molto più di quanto non faccia il pubblico protetto dal suo ruolo di osservatore. Ed ecco che il frammento zero nella sua invasività concreta del fumo cerca forse di colmare un poco questa distanza etica ed estetica.
Una performance intensa seducente ad alto impatto emotivo niente affatto banale nelle sue implicazioni e nel suo ragionar facendosi.
Chiara Bersani FAMILY TREE.
musiche originali Sebastiano Dessanay, Paolo Persia
realizzato con il supporto di Ina/Assitalia - Agenzia Generale di Piacenza, Stanhome S.p.A -
sede di Parma e Piacenza, Accademia Domenichino da Piacenza, Ass. Culturale Corpoceleste
progetto sostenuto da ASITOI – Associazione Italiana Osteogenesi Imperfetta
Vincitore del Premio Prospettiva Danza Teatro 2011, Padova.
Finalista Contest MY DREAM_Fondazione CRT in collaborazione con la Fondazione TPE, Torino.
Infine, ormai in tarda serata, è la volta di Sara Simeoni (la coreografa che, naturalmente con l'atleta olimpionica ha in comune solamente il nome).
Penalizzati nello spazio gli spettatori hanno potuto assistere solo parzialmente al suo eccezionale lavoro (data la visibilità scarsa per il pubblico dalla seconda fila in poi nei momenti in cui la danzatrice si sdraia a terra, eppure anche così impallata la sua performance ha raccolto unanimi consensi del pubblico entusiasta che l'ha applaudita calorosamente.
La coreografia di Simeoni,allieva di Carolyn Carson che vive e lavora all'estero dove è acclamata nei grandi teatri e nei centri d'eccellenza della danza internazionale, tra Francia, Belgio ed Austria, è proprio il ritorno a casa, alla propria terra d'origine, terra fisicamente presente nella scena permeando lo spazio anche con il suo pungente odore. In una sorta di danza psicomagica, come si legge nelle note di presentazione, Simenoni si presenta in scena con il corpo legato da fasce elastiche e una scatola nascosta da fasce all'altezza del petto. La coreografia si sviluppa a partire da questi legacci fisici cui la danzatrice si libera attraverso il movimento e una connessione con la terra che le offre la possibilità di prendere commiato con amore, attraverso una sorta di atto psicomagico - una sepoltura, un rito funebre - dal passato.Un racconto epico nel quale Simeoni illustra il lungo cammino che l'ha prima allontanata e poi riportata alla sua terra di origine simboleggiato da una lunga sequela di uova tra le quali e sulle quali Sara cammina usando i piedi prima con delicatezza e poi con decisione nel rompere i fragili gusci.
Una coreografia che intender non la po' chi non la prova che conclude una serata splendida della quale dobbiamo ringraziare un festival di drammaturgia lungimirante e colto che non ha mai ignorato la ricerca coreutica tra le cui fila arrivano le sorprese migliori.
Sara Simeoni HOLY SKIN AND LAZY BASTARD
coreografia di e con Sara Simeoni
costumi e scene Fucina creativa
musiche A Silver mt Zion, Cyclobe
luci Danila Blasi
produzione Sara Simeoni
Atacama sostenuta dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali (MIBAC)
residenza coreografica Dimora Coreografica Torinese – Torino