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Tra violenza sopraffattrice e competizione ludica la coreografia insiste sulla violenza intrinseca dell'uomo e della donna sulla loro volontà di sopraffazione ma, al contempo, sulla violenza ineluttabile della condizione esistenziale del genere umano e donnano costretta a una solitudine dalla quale tutti e tutte cerca di smarcarsi in tutti i modi possibili.
Le grandi capacità performative dei danzatori e delle danzatrici caratterizzano la coreografia con una leggerezza nell'esecuzione e nella resistenza alla gravità che evidenziano maggiormente l'afflato di disperazione cruenta con cui uomini e donne si toccano, si avvicinano, si sovrappongono e si strattonano nel disperato tentativo di non sentirsi soli e lontani come suggeriscono alcune semplici parole che vengono scritte a turno sullo stesso pezzo di cartone.
progetto coreografico: Simona Lobefaro
danza: Andrea Cocco, Lorenzo Giansante, Valeria Loprieno, Veronica Sferra
audio editing: Andrea Cocco
Alfabet
Christiane Hommelsheim nel 2009 ha presentato insieme a Irene Mattioli la perfomance Alfabet coprodotta dal Literaturwerkstatt Berlin in collaborazione con la Zeitgenoessische Oper Berlin.
Il lavoro giunge per la prima volta in italia, per la traduzione di Inge Lise Rasmussen Pin e Daniela Curti, con l’amichevole sostegno della Compagnia i Talenti e il patrocinio morale dell’Accademia di Danimarca e dell’Ambasciata di Danimarca in Italia, per Teatri di Vetro VII.
La performance esplora le possibilità espositive e interpretative del corpus di poesie della danese Inger Christensen Alfabet, scritte nel 1981, utilizzato due criteri di sequenzialità: quello alfabetico nell'elencazione di una serie di oggetti ed esseri viventi e quello della sequenza di Fibonacci (in cui ogni numero è la somma dei due precedenti: 0, 1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21, 34 ...) per il numero di versi.
Così la prima sezione, A è composta da un solo verso l'ultima sezione, N, da 600.
Esistono colombe, sognatori, e bambole;
esistono assassini, e le colombe e colombe;
foschia, diossina, e giorni;
Esistono giorni, giorni e morte;
ed esistono poemi;
poesie, giorni e la morte
citrus trees; cicadas exist;
cicadas, cedars, cypresses, the cere-
bellum
4
doves exist, dreamers, and dolls;
killers exist, and doves, and doves;
haze, dioxin, and days; days
exist, days and death; and poems
exist; poems, days, death - See more at: https://www.poets.org/viewmedia.php/prmMID/16010#sthash.D1Gli7hq.dpuf
Christiane Hommelsheim approccia il testo di Christensen da più versanti. Una voce maschile italiana registrata declama i versi con sufficiente ieraticità.
Christiane stessa li recita dal vivo in italiano con un lieve accento straniero. Intanto usa una cassa armonica amplificata sulla quale muove le dita, tamburella su una lattina di metallo vuota, immerge le dita in una ciotola d'acqua, ne lascia cadere dei piccoli ciotoli o emette dei vocalizzi.
Ognuno di questi suoni viene campionato e ripetuto in loop di diversa durata sui quali la performer sovrappone altri suoni dal vivo e crea un contro-canto creando armonie e melodie suggestive.
La parola poetica così dilatata a suono e musica crea una partitura complessa che si fa correlativo oggettivo di una ricerca poetica fatta di ripetizione e costruzione sonora dove la singola parola che compone il verso acquista un significato sonoro in sé, oltre a quello semantico, approdando, nell'interezza della performance, a una fisicità del verso incarnata nell'esperienza molteplice dell'esistenza umana: quella della perfomer che esegue il verso, quella del pubblico che lo ascolta e quello dell'esistenza della autrice che ha creato le parole.
Alfabet costituisce una un'esperienza unica, pienamente riuscita, forse con qualche lungaggine quando i versi aumentando di lunghezza e complessità per via della sequenza di Fibonacci perdendo man mano il carattere astratto di elencazione e ritornando a una costruzione narrativa più tradizionale che si fa a tratti retorica quando cerca di ricondurre, con ossequio malcelato e unidirezionale, l'esistenza umana e l'insopportabile oscenità della morte a un sentimento religioso che diventa via via angusto e obsoleto.
Una istallazione ad alta densità performativa in uno dei momenti più intensi della serata.
una performance di musica e poesia di: Christiane Hommelsheim e Irene Mattioli
dal poema omonimo di Inger Christensen
traduzione dal danese: Inge Lise Rasmussen Pin e Daniela Curti
adattamento: Irene Mattioli
performance: Christiane Hommelsheim
voce registrata: Daniele Fior
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25
Simona Filippini ed Eva Tomei hanno intervistato uomini e donne, persone giovani e mature, italiane e straniere e hanno chiesto loro circa il significato del 25 Aprile e del senso della parola libertà. Ne è scaturito un corto di 15 minuti nel quale le intervistate e gli intervistati si misurano con la memoria collettiva, con la nozione di Storia, allestendo un percorso di ricerca sociale e documentaria.
Le due autrici assemblano dalle interviste un materiale che è al contempo il risultato di un percorso di ricerca e punto di partenza di una ricerca ulteriore ancora da compiere nella quale generazioni diverse e punti di vita diversi si confrontano su alcune pietre miliari della nostra storia recente repubblicana invitando a una riflessione collettiva.
Il progetto 25 è realizzato con il sostegno del Municipio Roma XI- Assessorato
alle Politiche Culturali
progetto di: CAMERA21
un’idea di: Eva Tomei
fotografie: Simona Filippini, Eva Tomei
montaggio: Adalberto Gianuario
coproduzione: Hi-Kari produzioni
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Chiude la serata la performance Sein di K-Conjog e Francesco Lettieri che ci hanno presentato una séance di improvvisazione tra suoni e musiche campionate composte ed eseguite dal vivo dal polistrumentista K-Conjog (al secolo Fabrizio Somma), e le immagini scelte e rielaborate dal regista partenopeo Francesco Lettieri.
Se la musica di K-Conjog pur nascendo dall'estemporaneità si distingue per la pulizia di esecuzione che poco lascia al caso regalandoci un sound d'alto profilo la scelta di repertorio delle immagini, pescate da bacini di diversi contesti culturali, proposta da Lettieri, (film sovietici di propaganda, immagini altrettanto di propaganda militare degli Stati Uniti, alternati ad estratti di vecchi concorsi di bellezza e gare sportive, tra anni settanta e anni ottanta), così decontestualizzate, pur presentate con lo scopo di svincolarle dalla loro banale mediaticità per trasformarsi piuttosto in un ricordo, all’interno del quale riuscire a percepire il sein in tutta la sua interezza, come si legge nel programma di sala, finiscono per subire al contrario un'estetizzazione che ne esalta le qualità iconiche assolute avulse come sono dal conteso di emissione e ricezione in cui sono nate e per le quali sono state pensate e sono proposte oggi al pubblico come mero strumento di consumo (tele)visivo acritico cancellandone il portato storico documentale e svilendole a mera funzione esornativa per la musica che è l'unica istanza performativa capace di sostenere il sein, quell'essere nel mondo davvero capace di abbracciate il cosmo intero dell'esistenza più di quanto non facciano le immagini svuotate di ogni funzione che vada al di là della loro autoreferenzialità.
immagini: Francesco Lettieri