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TEATRI DI VETRO

TEATRI DI VETRO SERATA DI GIO…

TEATRI DI VETRO SERATA DI GIO…
TEATRI DI VETRO SERATA DI GIOVEDÌ 21 MAGGIO IL TEMPO LIBERO Un ragazzo in boxer disteso su dei cuscini. Un uomo sui 40 attraversa la stanza. Buio. Una luce illumina solamente l'uomo che adesso parla al telefono, per effettuare l'operazione vuole un uomo in particolare, uno dei gangster migliori. Non lo ottiene, litiga col suo interlocutore telefonico. Di nuovo nella stanza col ragazzo in boxer, l'uomo, in maniche di camicia, il vestito stazzonato, conversa col giovane di economia, di emergenza cibo planetaria, delle olimpiadi in Cina. Il giovane, a suo agio in soli boxer, lo ascolta, cerca di fare timidi commenti, ma l'altro è più propenso a parlare che ad ascoltare. Dai loro discorsi capiamo che sono ad Amsterdam, sono entrambi italiani, il più grande, Adamo, è un cosmologo che studia la materia oscura, l'altro, Federico, un escort (puoi anche chiamarmi marchettaro, gli dice, non mi offendo). La conversazione sul gangster, capiamo, è un brano di un monologo che Adamo è stato incaricato di scrivere. Doveva fare da consulente scientifico a un drammaturgo, ma quando hanno letto il suo monologo (scritto di getto in seguito a un'arrabbiatura perché il drammaturgo non aveva nemmeno una idea) hanno licenziato il drammaturgo e incaricato lui di scrivere lo spettacolo che racconta la storia di un ricercatore che, per procurarsi i finanziamenti per la sua ricerca, fa il gangster. Il ragazzo in boxer è più curioso del suo lavoro di scienziato, chiede delucidazioni sulla materia oscura, che pur non essendo mai stata direttamente osservata, dovrebbe costituire il 99% della materia totale dell'universo. La conversazione oscilla tra incontri con finanziatori delle ricerche di Adamo (compresi vecchi omosessuali non dichiarati), prestazioni sessuali appena ottenute e disquisizioni tra la politica l'etica e l'estetica. Il ragazzo ascolta, fa qualche timido commento che raramente trova l'approvazione di Adamo poi confessa che dietro uno specchio tiene una macchina fotografica con la quale, quando si trova con qualche cliente col quale è stato bene (e non intendo rivelare se tu sei fra quei clienti oppure no) si scatta una foto che mette poi in un libro. Gli piace pensare che dopo qualche anno qualcuno troverà quel libro e vedendo la sua foto penserà... Ma Federico non finisce la frase. Il tempo libero è un crocevia di discorsi, di pensieri, di ricerche. Quelle che colpiscono di più non sono quelle colte, e ciniche, di Adamo che, per quanto interessanti e plausibili, fanno di Adamo il classico intellettuale troppo lucido per potersi concedere a un sentimento o a un rapporto umano, qualunque esso sia, quanto alcune caratteristiche insolite del testo. Intanto il connubio tra teatro e scienza che Gian maria Cervo cerca di spingere oltre il timido approccio tematico (anche se sdoppiato nel classico metateatro: Adamo è un ricercatore che scrive suo malgrado uno spettacolo di teatro nel quale un ricercatore per procurarsi i soldi per la sua ricerca si mette a fare il gangster...) cercando di instaurare un parallelismo tra il rapporto che lega la materia oscura a quella visibile con quello che lega l'allestimento di uno spettacolo al suo processo creativo (o le sue implicazioni a diversi livelli interpretativi): come la materia oscura non si vede e, pure, influisce sull'aspetto finale di quella visibile così il processo creativo di uno spettacolo non si vede ma ne determina la riuscita e la fisionomia teatrale. Oppure le notazioni di costume (o sociologiche ?) che il testo fa, en-passent attraverso i discorsi di Adamo che constata che non avrebbe bisogno di pagare per fare sesso con dei ragazzi giovani come Federico che, dice, rimangono affascinati dalle sue capacità oratorie (credo che molti sono venuti a letto con me per amicizia dice a Federico) ma che, guarda caso, sa concedersi solo tramite una prestazione pagata, così come vuole un certo cliché, che vede il sesso tra uomini opportunistico, episodico, mercenario, mai pienamente vissuto anche su una base affettiva, di rapporto, di relazione. Alla fine, di Adamo e di Federico la cui figura di Escort viene descritta semplicemente nel suo lato esteriore (anche se è un bello spettacolo vedere Federico Tolardi in boxer ci vuole altro per fare del suo personaggio un escort) quel che convince ed emoziona non sono i discorsi affrontati ma la solitudine che li colpisce entrambi la cui unica mediazione possibile, pare essere il denaro. Un testo che spiazza e può anche ad arrivare a scandalizzare lo spettatore medio, l'italiano medio, quello che che ha la stessa naïveté di Federico ma che vorrebbe occupare la posizione di potere di Adamo, vera o presunta che sia. Lo stato di saluto Un attore solo sul palco, quello improvvisato e difficile di zone urbane adibite a palcoscenico, come i lotti del quartiere Garbatella. Un monologo che parte da una timida presentazione del suo officiante (mi chiamo Valerio Malonri), dei propri tic e nevrosi, e cresce, con un gesto di saluto, una stretta di mano al pubblico (democraticamente elargita a tutti cioè non proprio per tutti ma facciamo finta di sì) o un cenno di saluto, un saluto che diventa una fratellanza universale, sostenuta da un riconoscimento legale del quale Valerio si entusiasma tanto che, sulle note di Guarda che Luna si trasforma da timido performer a entusiasta del saluto e e burocrate della sua istituzionalizzazione democratica, da mettere anche nella carta costituzionale che va riscritta all'uopo. Un proclama rocambolesco e altisonante che trova uno dei suoi momenti più alti quando l'attore-proclamatore chiama una signora del pubblico per farle ripetere un proclama-saluto che ricorda una promessa di matrimonio. Teatro genuino, diretto, nel quale l'attore performer apparentemente semplice e ingenuo e invece misurato e sollecito nel seguire l'umore del pubblico e nel fare entrare nello spettacolo anche imprevisti fortuiti (come un gatto che, placido, attraversa il palcoscenico indifferente). Un attore che si apre col suo pubblico e accetta i rischi del contatto, della performance, il pubblico se ne accorge e applaude divertito e riconoscente (merito anche della signora del pubblico che si è dimostrata una spalla perfetta). Primo amore In un monologo bellissimo e straziante, la straordinaria Laura Nardi interpreta un uomo che torna al paese natio dal quale manca da tempo. Ricordi di una storia vissuta a 15 anni affiorano, prima confusi poi sempre più precisi, specialmente quando, fortuitamente, riconosce nel cameriere di un bar un suo compagno di scuola quando erano entrambi quindicenni. In un racconto mai totalmente lucido l'uomo rivive il primo incontro con lui (chi sei? sei un dio, un dio di 15 anni) il pervadere di un desiderio che scopre dentro di sé, cui ancora non sa dare un nome ma che comprende subito chiaramente e lo accetta senza esitazione. Il desiderio di vederlo, di toccarlo, prima in sogno, poi per davvero, un pomeriggio che li vede sopraffatti dal desiderio al punto da strapparsi i bottoni delle camicie e da prendersi a morsi, letteralmente. Man mano che il racconto si fa più preciso ed esplicito monta nell'uomo la rabbia, perché l'altro non lo ha riconosciuto, o fa finta, e se ne resta dietro il bancone, ingrassato e schivo. E mentre ricorda i mesi di intensi e appassionati incontri amorosi, l'uomo constata di come sia diversi. Non oggi ma anche allora Perché i genitori dell'altro li sorpresero insieme e il dio di 15 anni lo lasciò solo, scomparve, non si fece più vedere. Il resto è dolore, separazione, partenza dal piccolo paese, ma con la benevolenza dei genitori. Mai pentimento, mai vergogna solo delusione perché il dio di 15 anni non lo cercò mai, perché non ha saputo resistere, difendersi. La rabbia lo pervade e l'uomo dice che avrebbe fatto meglio a ucciderlo, ad aprirlo, sventrarlo e mangiarlo, solo così una volta, ingerito il suo corpo, quello avrebbe preso il posto del corpo suo, gli occhi del dio rinati come suoi occhi, solo così, una volta rinato in lui, il dio si sarebbe salvato. Sopraffatto dall'ira, mentre dà sempre più in escandescenza tanto da attirare l'attenzione degli altri avventori del bar, l'uomo ne rompe la vetrina e mentre le forze dell'ordine lo trascinano via il cameriere dal suo punto di vista si fa piccolo piccolo... Di spettacoli a tematica omosessuale se ne sono visti parecchi ma primo amore li sorpassa tutti per la capacità che ha di cogliere l'eccitazione, il desiderio, la foia, ma anche l'affetto, l'amore, la meraviglia, la gioia e la rabbia che può provare un ragazzo di quindici anni quando si scopre attratto da un suo coetaneo che ai suoi occhi appare un dio, non perché stucchevolmente bello (come vuole tanta letteratura gay) ha anzi le unghie sporche, le gambe storte, né è particolarmente coraggioso o intelligente, ma perché è un ragazzo, un quindicenne come lui. Senza incentrare il monologo sul sesso (ma senza nemmeno far finta che non ci sia) il monologo di Letizia Russo è quasi una poesia, l'elegia di un sentimento, di una condizione, di uno stato esistenziale, quello del quindicenne. Infatti il primo moto di rabbia che l'uomo ha nei confronti del suo antico amore è proprio quella di essere ingrassato e invecchiato, di non essere rimasto per sempre un dio di 15 anni (fa che io non debba mai vederti trentenne). Primo amore usa anche metafore inedite come il cannibalismo per esempio quello concreto durante la prima volta (tu sanguini e io ho i denti sporchi di sangue) e quello simbolico quando, consapevole e deluso dalla loro diversità, l'uomo avrebbe voluto mangiarlo per far reincarnare il suo amato in se stesso (solo così avrei potuto salvarti). Il cannibalismo come amore che divora non perché omoerotico ma perché primo amore, assoluto e disperato. Sorprende nel racconto la totale estraneità dell'uomo, e del quindicenne che fu, dai cliché e dalle categorie classiche messe in ballo nei racconti a tematica: l'uomo non è particolarmente sensibile, né infelice perché ha scoperto un desiderio omoerotico in sé. Se è sopraffatto non è dal ludibrio altrui ma dalla vigliaccheria dell'altro, dalla facilità con cui il dio si è tirato indietro. Perché per essere uguali non basta essere entrambi adolescenti quindicenni, non basta avere lo stesso orientamento sessuale. Il dolore che l'uomo prova nello scoprirsi diverso non è già nell'orientamento sessuale ma nella capacitò di affrontare una presunta diversità e riaffermarla come propria condizione di normalità che lui ha e il suo amato no. perché una volta tanto il vero nemico prima ancora della società è dentro se stessi i primi a non avere coraggio sono proprio i giovani gay che schivano la diversità non per tema del giudizio altrui ma per sottrarsi al giudizi proprio che sanno essere dello stesso parere. Ecco perché ci si dice orgogliosi di essere gay. Perché almeno in chi lo è il pregiudizio omofobico è davvero assente. Solo una donna poteva scrivere un testo di tale intensità senza lasciarsi distrarre dalla tentazione di farne un resoconto sessual-gastronomico, solo un'attrice poteva entrare così dentro un personaggio e rendere con tale incisività un personaggio maschile, perché mentre di solito gli uomini agiscono le donne sanno. Primo amore è il più riuscito, il più toccante, il più doloroso testo a tematica omosessuale (maschile) che sia mai stato scritto, un risarcimento morale per tutti i ragazzi che hanno percorso lo stesso itinerario del protagonista della piéce, un modo schietto e diretto per tutti gli altri di capire cosa si prova ad avere 15 anni ed essere innamorato di un ragazzo come te. Festival QDA (Viterbo) IL TEMPO LIBERO Di Gian Maria Cervo Con Vito Mancusi, Federico Tolardo Regia di Carlo Fineschi Valerio Malorni (Roma) LO STATO DI SALUTO Di e con Valerio Malorni Laura Nardi (Roma) PRIMO AMORE Di Letizia Russo Con Laura Nardi Regia Luigi Saravo Roma, teatro Palladium, visto il 21 maggio 2009
Visto il
al Palladium di Roma (RM)