Lo spettacolo firmato da Cristina Comencini è un affresco della modernità con qualche sbavatura.
”Tempi Nuovi”, scritto e diretto da Cristina Comencini, è uno spettacolo che affronta con piglio dolceamaro il tema della modernità e dei cambiamenti imperiosi che spesso ci impone.
Tuttavia, la storia di Giuseppe e Sabina, in scena rispettivamente Ennio Fantastichini e Iaia Forte, non riesce sempre a decollare e a mantenere le premesse iniziali, scivolando qua e là in qualche banalità di troppo e impigliando il meccanismo drammaturgico in situazioni prevedibili.
Libri versus Android
Giuseppe, burbero docente di Storia Internazionale (?), all’inizio litiga con il suo Apple, per poi trasformarsi in blogger incallito e drogato di tecnologia; Sabina, giornalista in carriera e informaticamente aggiornata, crolla davanti alla rivelazione della figlia che dalla sua compagna e dalla banca del seme aspetta un bambino, mentre il giovane rampollo di famiglia spiega al padre come lui e i suoi amici si “turnino” le loro ragazze. Questa la traccia di Tempi Nuovi, ma purtroppo lo spettacolo sembra nascere e finire proprio su questa traccia.
I novanta minuti si dipanano tra ragionamenti che faticano a dare linfa all’azione scenica e didascalici ammonimenti. Un esempio tra tutti: lo svuotamento della libreria di Giuseppe metafora della sconfitta dei libri nella strenua lotta contro gli smartphone. Ennio Fantastichini, pur generoso e ricco di verve in scena, si arrampica spesso in macchiettistiche trovate, risultando a tratti poco credibile, mentre per Iaia Forte si sceglie un registro dal tono petulante che la consegna ad una recitazione quasi sempre monocorde.
A lezione da Ibsen
Raccontare la modernità è difficile, operazione rischiosa che necessita di lungimiranza. Che un microcosmo sia osservatorio privilegiato dell’umanità lo apprendiamo già da Ibsen: la deflagrazione della modernità in una semplice storia familiare è, su tutti, il caso di Nora in ”Casa di Bambola”, anno 1847. Ma Giuseppe e Sabina, ovvero lo storico passatista e la sua famiglia sospesa tra tecnologia e inseminazione artificiale, si incastrano invece in una dialettica quasi sempre fine a se stessa e dal risultato immaginabile: è da pazzi sottrarsi al nuovo, ma non bisogna fidarsi delle sue lusinghe.
Su questo doppio binario procede lo spettacolo, che non manca di qualche guizzo ma anche di qualche disattenzione di troppo: i due figli di Giuseppe e Sabina passeggiano con la carrozzina del figlio inseminato di lei, mentre dietro di loro avviene un cambio scena a colpi di martello e rimbombi metallici. Ed alla fine, Giuseppe abbraccia il bambolotto di suo nipote mentre gli altri corrono a preparare la cena: la famiglia si ricompone e forse di Tempi Nuovi dovremo ancora parlare.