A testa sutta (a testa sotto) è la terza fatica drammaturgica di Luana Rondinelli, che si è già imposta con Taddrarite (pluripremiato al Roma Fringe Festival 2014) e con lo splendido Giacominazza, scritti in una lingua che trova una sintesi felice tra l'italiano e il dialetto siciliano.
Con questo monologo che la vede come autrice e non come interprete, Rondinelli raggiunge un nuovo nitore linguistico, fondendo il dialetto catanese con quello palermitano che trovano una sintesi intelligente ed elegante, una delle cifre del suo stile drammaturgico.
Rondinelli sa infondere alla lingua siciliana una vitalità dirompente che è la stessa che anima i vari personaggi che emergono dal racconto.
Il monologo vede come protagonista il giovane Giovanni, un ragazzo biondo e dagli occhi cilestri, che racconta delle persone che lo circondano dal padre, morto prematuramente, alla zia dal carattere irascibile a un cugino che lo difende dalla sua bontà, segno esteriore di un ritardo mentale vero ma forse anche indotto.
I personaggi che circondano Giovanni emergono non già portati in causa dal suo io narrante ma scaturendo per forza propria, stagliandosi con l'icasticità dell'epos siciliano che è tutt'altro che popolare rifacendosi alle radici più antiche di quella cultura greco ellenistica, di cui la terra sicula è stata uno dei centri.
Il testo di Rondinelli richiede un'altissima capacità affabulatoria, al limite del funambolismo, necessaria per restituire il ritmo di una scrittura che si avvicina più alla partitura musicale che alla prosa (per il ritmo, la cadenza, la felicità del suono-parola) e vede in Giovanni Carta l'interprete ideale, senza fargli il torto di scrivere che il testo gli è stato cucito addosso.
Carta in scena sa volare, districandosi nei continui cambi di rotta di un testo che non si ferma mai ma va sempre oltre nel ritmo, nel senso, nel significato, nel racconto, in questo o quel personaggio che emerge, scompare e ritorna, sempre attento a rimanere sull'onda del racconto, sostenuto dall'energia di questo o quel personaggio, di questo o quel momento del racconto (indimenticabili le parole sinestetiche che ripete fino allo sfinimento, per descrivere una gita in motorino con suo cugino).
L'energia invidiabile che Carta dona senza parsimonia allo spettacolo e ai personaggi che interpreta tende a tracimare giusto nei momenti di climax, sfiorando la saturazione interpretativa che una regia esterna gli avrebbe permesso di modulare in maniera più organica, aiutandolo a controllare quel che è difficile da notare quando si è registi di se stessi.
Il racconto si colora delle ombre sottili dell'elegia a spese di quell'osservazione critica sociologica (Taddrarite) e antropologica (Giacominaza), sempre squisitamente politica, cui Rondinelli ci ha abituati negli altri suoi testi.
Nel dipanare l'ineluttabilità delle vicissitudini di Giovanni, fino al finale obbligato, Rondinelli si lascia sedurre da un determinismo squisitamente verghiano che attesta il racconto su coordinate più note ma non per questo meno sincere.
A testa sutta è una delle perle che ci ha regalato la programmazione del Fontanone Estate di Roma che, giunto alla sua ventesima edizione, ritorna al luogo di origine, la cornice scenografica della fontana dell'acqua Paola del Gianicolo.
Per uno spettacolo privo di scene - a esclusione di una panca di nero dipinta che diventa quasi un personaggio per come Carta ci gira intorno, ci sale, ci si sdraia (anche a testa sutta) - una suggestione in più per valorizzarne la scrittura e l'interpretazione.