Per il secondo titolo operistico in cartellone il Macerata Opera Festival, dedicato quest’anno al rapporto fra cinema e opera lirica, propone un curioso, ma quanto mai efficace, abbinamento fra la proiezione della pellicola restaurata di The Circus, capolavoro assoluto di Charlie Chaplin datato 1928, e Pagliacci di Ruggero Leoncavallo.
GLI SPETTACOLI
IN SCENA IN ITALIA
Essere clown senza volerlo
The Circus è ancora oggi un trionfo di comicità, velato di malinconia come è tipico dell’arte di Chaplin, ma è anche una sottile metafora della vita umana, sempre attanagliata da imprevisti, come nella scena in cui Charlot funambolo viene assalito dalle scimmie, e vincolata al fatto che tutti noi siamo inconsapevoli protagonisti comici della nostra esistenza.
Tema centrale del lungometraggio, infatti, è proprio il successo straordinario che Charlot ottiene all’interno di un circo itinerante ad opera di un pubblico in delirio che lo ritiene un clown, mentre in realtà egli non lo è, è solo vittima di una serie di sventurati accidenti che scadono nel comico: una originale variazione rispetto alla tematica ricorrente nella cinematografia di Chaplin dello scambio di persona.
Splendida la colonna sonora, composta da un’antologia di una cinquantina di brani musicali fra cui anche alcuni tratti da Pagliacci, riproposta dall’Orchestra in prima assoluta mondiale dopo essere stata recentemente ritrovata all’interno di un archivio svizzero.
Lo schermo utilizzato per la proiezione del film viene mantenuto anche nell’allestimento di Pagliacci, quasi a rendere il collegamento fra le due opere concretamente visibile, e vi vengono a tratti proiettati spezzoni di film degli anni Trenta.
Alessandro Talevi, davvero bravo nel gestire i movimenti delle masse, punta anche in questo caso ad evidenziare quello scontro fra artificiosità e spontaneità già sottolineato dalla proiezione precedente: un contrasto ben presente nella trama dell’opera in cui la finzione teatrale diviene realtà e dramma della gelosia nel momento in cui Canio pronuncia la famosa frase “No! Pagliaccio non son!”.
Gli attori del circo stentano ad affermarsi ed a conquistare l’attenzione della gente del paese che è tutta concentrata su una più attrattiva proiezione cinematografica. Il carrozzone entra trainato da un’apecar ed è circondato da una sorta di borgo stilizzato in cui le case sono delineate da semplici perimetri, privi di pareti, così che se ne possa scrutare l’interno.
Tragicissimo il finale in cui Tonio spara, uccidendo Canio e Beppe, per poi togliersi la vita egli stesso.
L’aspetto musicale
La direzione di Timothy Brock non colpisce particolarmente per l’originalità delle dinamiche, apparendo priva di quei colori che dovrebbero caratterizzare l’esecuzione di un’opera verista ed evidenziando anche qualche momento di difficoltà nel rapporto col palcoscenico.
Abbastanza buono, invece, nel suo complesso il cast. Fabio Sartori è un Canio vocalmente generoso, estremamente solido nel registro acuto, ma non privo di colore in quello grave.
Al suo fianco Rebeka Lokar, pur evidenziando la solita perfetta padronanza del mezzo e tutte le qualità vocali di cui è ampiamente dotata, è apparsa, invece, leggermente sotto tono, forse a causa di un eccessivo controllo dell’emissione.
Fabián Veloz è un Tonio corretto, scenicamente molto credibile e giustamente insinuante. Bene anche l’Arlecchino di David Astorga e il Silvio di Tommaso Barea.