Un quadrato in terra. Due sedie che non si guardano. Un prato decostruito come una scacchiera incompleta. Una luce che disegna una finestra da cui non si può uscire. Da cui non si può nemmeno guardare. “Ti mando un bacio nell’aria” è l’ultima produzione della compagnia siciliana M’Arte, che da oltre dieci anni lavora sulla drammaturgia contemporanea e sulla ricerca teatrale, anche in collaborazione con importanti realtà teatrali italiane, tra cui la compagnia Sud Costa Occidentale di Emma Dante.
In questo testo, Sabrina Petyx – aurice e, in questo caso, anche attrice – racconta il delicato e conflittuale rapporto tra Lui e Lei. Amanti, amici, compagni. Lo sono stati. Ora non si sa.
Lei vuole andarsene, allontanarsi dalla soffocante atmosfera di uno (lui è Massimo Verdastro) che la ingozza di dettagli, che vive annotando su un quadernino in colori diversi pensieri, fatti e appuntamenti. Schedati, incasellati, numerati. Lui lo fa per non dimenticare, o per far finta di non dimenticare. È un maniaco che cerca la perfezione dell’essere sempre uguale a se stesso. Sistema, scrive, mette lei davanti al muro inesistente della sua incapacità di muoversi sul serio. Lei: “Potrei buttarmi dalla finestra”, lui: “Fossi in te mi accontenterei di una porta; è lo stesso ma fa meno rumore”.
Un viaggio attraverso il limite fino a cui può giungere la pazienza. Uno sforzo continuo, tra il tentativo di non sfiorarsi nemmeno e la consapevolezza di non poter sfuggire a qualcuno che si conosce troppo bene.
“Ti mando un bacio nell’aria” è un testo molto interessante, che sfiora con delicatezza e poesia paure, ansie e ostacoli della natura umana, della solitudine, della convivenza, dell’attaccamento. “Ce l’hai almeno un solo ricordo di cosa vuol dire desiderare?”. Lei attacca, lui schiva. Lui attacca, lei crolla. Anche l’incapacità di lei di allontanarsi viene letta da lui, cinicamente e senza pietà, come un appuntamento mancato, da annotare sul quadernino.Una battaglia senza esclusione di colpi, resa forte dalle parole più che dai movimenti in scena, non particolarmente convincenti.
Immobili, restano immobili. Parlano al pubblico spesso, sfogandosi (il regista Giuseppe Cutino cerca di esasperare ciò che ognuno di noi ha vissuto di situazioni analoghe). Sullo sfondo, una parete, rivelata solo alla fine (il disegno luci è di Marcello D’Agostino), che ci mostra tutti i cappotti che lei si è fatta togliere. Era pronta ad andarsene. È rimasta. Si è lasciata togliere il cappotto. Ha aggiunto un altro manichino alla schiera delle cattività autoimposte.