Si intitola Time Takes the Time Time Takes la performance presentata alla Biennale Danza 2020 dalla coppia Guy Nader, artista di origini libanesi, e la danzatrice spagnola Maria Campos.
Dal 2006, con sede a Barcellona, hanno fondato la loro formazione indipendente che esplora i territori della fisicità, alla scoperta di limiti sempre nuovi da raggiungere e quindi superare. In scena, insieme a Magí Serra, Spela Vodeb, Charlotte Mathiessen e al percussionista Miguel Marin, danno vita ad un lavoro delicato e intenso intorno al concetto di tempo.
Il tempo prende, il tempo dà
Il tempo è un concetto elastico, lo sapevano i grandi filosofi del passato e ne siamo consapevoli nella contemporaneità. Ma il tempo, pur nella sua elasticità, appare comunque misurabile, o almeno così hanno immaginato gli uomini che, nel susseguirsi delle epoche, si sono saputi inventare clessidre, pendoli e orologi. Sulla scena del Teatro alle Tese Nader e Campos sembrano fare un esercizio nuovo: non inseguono il tempo, non ne fanno terreno di lotta, non se ne lasciano ingoiare, come da un inarrestabile Chronos all’inizio di tutte le ere.
Il loro sforzo, semmai, sembra essere quello di assecondarlo, di entrare nelle sue pieghe, di trovare collocazione nell’alternarsi dei suoi vuoti e dei suoi pieni. E di questo è segnale la grande compostezza che caratterizza ogni passo e ogni movimento, tutto avviene senza sforzo e alla ricerca costante di una sincronia leggera ed elegante. Anche quando la ritmica delle percussioni si fa più serrata e percorre sonorità crescenti, il movimento dei danzatori si mantiene fluido, lineare, la tensione dei corpi insomma non perde mai la misura.
Siamo lo scorrere del tempo
In uno spazio dal sapore asettico, il bianco è il colore dominante dell’intero palcoscenico, e completamente vuoto, solo la postazione del percussionista sembra essere una boa di riferimento, tre uomini e due donne provano a entrare, incontrandosi, sovrapponendosi, sperimentando i limiti della loro fisicità, nei gangli del tempo e della sua misurabilità: oscillano alla maniera di pendoli, braccia e gambe si fanno lancette, contraggono e dilatano i corpi così come il tempo sa allungarsi o concentrarsi a seconda delle occasioni.
Il risultato è quello di un performance che, senza strizzare l’occhio allo spettatore, è attenta a rendere chiaro ogni passaggio: tutto è compreso, tutto è comprensibile. Il pubblico non ha bisogno di armi affilate per decodificare e può godere della bellezza dello spettacolo che per un’ora avvolge la sala in una sorta di effetto ipnotico, senza però mai scivolare nello psicadelico, così caro a certe formazioni della danza contemporanea.
Il tempo si ripete e in questa iterazione, ribadita anche dal titolo della performance, sta tutto il fascinoso dramma dell’umana esistenza.