Si entra in sala praticamente al buio, con una sola luce di quinta che abbaglia più che illuminare. Poi, una volta più o meno agevolmente accomodati, la luce perde d'intensità. E dopo che una musica e dei rumori (fra cui quello distinto di alcuni starnuti) rompono il buio totale in cui si è piombati, una luce timida illumina Tommy, il protagonista della pièce, il quale, accovacciato dietro la porta di uno scantinato, parla con qualcuno, al di là della medesima, senza che ne possiamo intendere le domande.
Tommy ha il corpo d'adulto ma le movenze e la mente di un ragazzino troppo cresciuto. Racconta candidamente, a chi lo ascolta dietro la porta, di starnutire ogni 6 secondi, quando è fuori, mentre lì, in quello scantinato che frequenta da quando era piccolo, gli starnuti gli danno tregua. Piccoli dettagli, segreti da bambini (il cibo che non piace nascosto lì, i primi giocattoli, i primi furti di liquirizie), si accavallano alla scoperta dell'autoerotismo, a improbabili confronti coi coetanei, all'imbarazzo di essere sorpreso dalla madre... Tutto sembra avvenire lì, in quello scantinato buio (la lampadina tolta dopo essere stato sorpreso a masturbarsi, ma tanto Tommy ha una torcia elettrica...). Tommy si racconta con un candore misto a malizia, con una sincerità disarmante, tenera e fragile; intanto altri ricordi affiorano nella sua mente: il gioco delle bocce col padre, le visite disastrose di una compagna di scuola malvista da sua madre... Man mano che il racconto procede e che i ricordi riaffiorano gli starnuti cominciano a sorprenderlo anche nello sgabuzzino, sempre più frequenti, invasivi, disturbanti.
Tommy pièce scritta da Giuseppe Manfridi nel 1985 (in tempi non sospetti per alcuni degli argomenti cui il testo, timidamente ma con chiarezza, allude) si impone in tutta la sua forza come exemplum dei guasti che una famiglia non all'altezza può causare ai suoi figli: gli starnuti che annichilano totalmente Tommy sono il correlativo oggettivo delle violenze e delle prepotenze, fisiche e psicologiche, che i genitori infliggono più o meno inconsapevolmente ai figli. Una denuncia sentita presente sulla piazza romana, in almeno un altro spettacolo, diverso nella sua drammaturgia ma affine come argomento trattato, Benji di Claire Dowie in scena all'Orologio.
Spettacoli che raccontano di figli condotti sull'orlo e oltre la patologia fisica o psichica non già da genitori eccessivi, mostruosi o malati ma da genitori che rientrano nella borghese normalità, mostrando come la famiglia nasconda una vocazione al martirio dei propri figli fino a ucciderli concretamente o simbolicamente, non a caso nella nostra lingua non esiste esiste la parola figlicidio: i figli sono proprietà dei genitori e come tali possono esser fatti tranquillamente a pezzi tra la privacy delle mura domestiche.
Alla riuscita dello spettacolo contribuiscono, oltre alla felice scrittura drammaturgica, una regia precisa e un interprete fantastico.
La regia è sostenuta da un uso coerente delle luci che illuminano la scena a levare mantenendola sempre in penombra, a sottolineare il buio dello scantinato in cui Tommy si rifugia, non illuminandola mai per intero ma solo su spazi delimitati. Alla staticità della prima parte del monologo, che vede Tommy rimanere sempre dietro la porta dello scantinato, segue uno sviluppo scenico per luoghi deputati, man mano che in Tommy riaffiorano i ricordi, luoghi che emergono dal buio grazie all'uso oculato delle luci, come il palco fosse una rappresentazione della mente del giovane protagonista: il campo di bocce dove Tommy giocava col padre (splendide le luci che illustrano seguono il percorso delle bocce, raso palco); la tavola dove avviene una disastrosa cena con la sua compagna di scuola, dove Tommy capisce molte cose di suo padre (e di sua madre) e un terzo spazio quasi di proscenio nel quale campeggia l'unico altro suo interlocutore, un orsacchiotto seduto su una piccola sedia, cui Tommy fa assistere agli eventi man mano che, ricordandoli, li ricostruisce, mettendoli in scena.
Una regia a servizio del testo ma anche dell'attore.
Giuseppe Russo riesce a gestire egregiamente un ruolo difficile tanto nella parte fisica (non solo gli starnuti che deve fare mentre recita ma anche una serie di oggetti che usa, compresa una torcia elettrica, che, a un certo punto, usa per illuminarsi il viso, spegnendola e riaccendendola ogni vota che uno starnuto tornano a disturbarlo) quanto in quella emotiva, ma mano che il racconto di Tommy si dipana e il giovane si riappropria dei ricordi che aveva rimosso.
Russo è generoso col suo personaggio, al quale dona il proprio corpo e il proprio essere, con tutto se stesso, restituendone tutti gli aspetti, siano essi dettagli intimi (compresa la masturbazione) o le più profonde emozioni e stati d'animo la cui fragilità e inesperienza non permettono a Tommy di gestirli come dovrebbe. Senza strafare Russo si dona senza limiti per amore del personaggio e non per quella certa vocazione egocentrica che colpisce (può colpire) chi sale su di un palco, interpretando tutta la drammaticità di un testo che a prima vista potrebbe sembrare quasi comico.
Portarlo in scena è stata una vera scommessa come ha dichiarato lo stesso attore: “Ho deciso di mettere in scena “Tommy” perché ho sentito la necessità di sfidarmi! Di reagire contro le difficoltà della crisi che ci paralizza, giocando la carta dell’autoproduzione. Ed ecco che un giovane attore intelligente, un vero animale da palcoscenico (ma mite, discreto, mai ingombrante) che sa rendere il suo personaggio anche solo col linguaggio del corpo. si ingegna produttore di se stesso mettendosi alla prova a 360 gradi in un periodo storico in cui governo e lo Stato considerano la cultura (il teatro) un superfluo di cui fare a meno. Invece, oggi più che mai, il teatro è indispensabile come il pane e chi ha visto lo spettacolo sa di essere cresciuto culturalmente e non di essere stato solamente intrattenuto.
Una scommessa (Credo in me e in questa piccola grande operazione, che porta dentro di sé i semi della follia infantile e della puntata azzardata al tavolo verde, perché poi, in fin dei conti, di questo si tratta:di una scommessa) che Russo ha vinto in pieno.
Tommy, uno uno spettacolo da non perdere, in scena fino al 31 gennaio 2010.
Visto il
20-01-2010
al
Campo d'Arte
di Roma
(RM)