Firenze, teatro Comunale, “Tosca” di Giacomo Puccini
RECONDITA ARMONIA PER TUTTI
Il Maggio Musicale, fondazione che si distingue per programmazione sofisticata rivolta principalmente a un pubblico “scelto”, ha proposto nella stagione autunnale un minifestival “popolare” che comprende tre titoli fra i più amati del repertorio, Tosca, Bohème, e Cavalleria Rusticana in nuovi allestimenti con cast di alto livello ma a prezzi contenuti per riavvicinare il grande pubblico al teatro d’opera. L’operazione, pubblicizzata da locandine sgargianti che ricordano graficamente quelle dei film melò anni Cinquanta tutti amore, gelosia, tradimento e passione (come recita lo slogan della rassegna), riscuote un grande, forse insperato, successo: 30.000 spettatori, fra cui numerosi giovani, per due settimane di continua programmazione.
E così, dopo la rilettura da “Roma città aperta” di Miller che fece tanto scalpore e la visione astratta e inquietante di Barberio Corsetti, Tosca torna al Comunale in un allestimento decisamente tradizionale e didascalico firmato da Mario Pontiggia, che riproduce fedelmente non solo i luoghi, ma tutti, proprio tutti, gli elementi scenici citati nel libretto in una produzione che riecheggia, se pur con meno mezzi e maggiori semplificazioni, gli storici allestimenti della tradizione e che ha il merito di rendere lo spettacolo comprensibile e godibile per un vasto pubblico di neofiti. Riconoscibili e senza sorprese i tre luoghi di Tosca nelle scene di Francesco Zito, fedeli alle indicazioni temporali dell’autore. Sant’Andrea della Valle è caratterizzata dalla cupola affrescata traslata sullo sfondo con buon effetto prospettico; il soppalco del pittore, il dipinto della Maddalena, la statua della Madonna e l’immancabile incenso per il Te Deum contribuiscono all’ambientazione realistica. Palazzo Farnese, oltre agli alti soffitti, affreschi, arazzi e sculture marmoree, ha tutto ciò che serve per supportare l’azione: il tavolino in cui Scarpia consuma effettivamente la cena, la scrivania per scrivere il lasciapassare, la dormeuse per sedurre Tosca. Efficace l’ambientazione del terzo atto con gli spalti di Castel Sant’Angelo immersi in un cielo plumbeo visti oltre la grata di una prigione caratterizzata dall’andirivieni furtivo di funzionari affaccendati fra misteriose scartoffie e valigie.
Anche i costumi sono in linea con l’iconografia tradizionale: camicia bianca a sbuffo, all’occorrenza insanguinata, per il pittore, cappe di taffeta che scivolano mostrando scollati abiti da scena stile impero per la Diva, abiti ottocenteschi di buona fattura per Scarpia e i suoi sgherri.
Troppo amatoriali le luci fisse di Giancarlo Salvatori, che non danno giusto spessore e verità alle scene che risultano un po’ sbiadite come quelle degli sceneggiati di una volta.
Daniela Dessì, superata la tracheite che aveva compromesso la prima, è apparsa di nuovo in forma e regala un’interpretazione esemplare per drammaticità, giusto colore e spessore vocale, una Tosca di classe dalla linea di canto impeccabile che rammenta il passato belcantista della cantante. A furor di popolo la Dessì, talmente sorpresa e emozionata da doverne ripetere l’attacco, concede il bis a un”Vissi d’arte” esplosivo e struggente, davvero un evento, dato che l’ultimo bis al Comunale risale al 1956 per l'”Amami Alfredo” della Tebaldi. Un trionfo personale meritatissimo.
Marco Berti ha voce generosa e sonora, italianissima, dal facile squillo e acuti solidi è perfetto per un Cavaradossi risolto sulla performance vocale. La potenza, l’ottima proiezione, ma anche il fraseggio naturale sono i punti di forza di questo Cavaradossi nazional-popolare a cui si potrebbe rimproverare assenza di introspezione e sfumature, ma che strappa l’applauso.
Non convince Alberto Mastromarin, la voce è solida, ma nasale e povera di colori e il suo Scarpia è uomo di potere sgradevole ma non abbastanza carismatico e insinuante.
Di buon livello e mai sopra le righe i comprimari: il Sacrestano rubizzo di Matteo Peirone, l’ Angelotti dalla voce scura di Filippo Polinelli, lo Spoletta subdolo e composto di Mario Bolognesi. Giovanni Bellavia è un apprezzabile Sciarrone, gradevole il Pastore interpretato da Eleonora Ronconi.
Inesistente la direzione di Antonio Pirolli, un'esecuzione poco curata, che non mette in luce tensioni e finezze armoniche e che rivela problemi di sfasamento fra buca e palcoscenico con un’orchestra irriconoscibile e svogliata dal suono sporco e opaco.
Eccellente come di consueto il coro preparato da Piero Monti.
Un pubblico attento e caloroso, visibilmente soddisfatto, ha tributato un indiscusso successo confermando che l’opera può essere ancora forma di spettacolo “popolare” dal forte potere di coinvolgimento e attrazione.
Visto a Firenze, teatro Comunale, il 18 ottobre 2008
Ilaria Bellini
Visto il
al
Maggio Musicale Fiorentino
di Firenze
(FI)