I teatri italiani sono alla ricerca di un'armonia tra nuovi allestimenti e un repertorio fatto di spettacoli comprensibili e popolari che hanno presa sul pubblico, come questa Tosca.
La scenografia di Francesco Zito propone in modo riconoscibile immediatamente i luoghi dell'opera. La chiesa di Sant'Andrea della Valle è vista dalla navata verso l'altare maggiore con cupola su alto tamburo finestrato in vertiginosa prospettiva; una balaustrata di marmo separa il presbiterio, al di qua la statua della Madonna, il ponteggio col dipinto di Cavaradossi (una Maddalena somigliante alla “Meditazione” di Hayez) e un paio di banchi, sulla destra la cancellata della cappella Angelotti, sotto l'altare una santa scheletrizzata. L'interno di palazzo Farnese è sontuoso per affreschi alla bella maniera di Salviati, semipilastri neoclassici, statue canoviane, un busto romano, arazzi; un piccolo tavolo per il desinare; la scrivania per le carte è ingombra di crocifissi, ostensori, reliquiari; una dormeuse al centro del salone. La terrazza di Castel Sant'Angelo ha un grande stemma papale in pietra e una grata che la separa da un interno ingombro di bauli e valigie come per un'imminente partenza.
I costumi, sempre di Francesco Zito, perfezionano l'ambientazione napoleonica (non necessario il cambio d'abito di Tosca tra secondo e terzo atto che pare allontanare nel tempo due momenti in sequenza veloce); le luci di Gianni Paolo Mirenda creano le giuste suggestioni.
La regia didascalica di Mario Pontiggia si riallaccia agli allestimenti della grande tradizione italiana; utilizza tutti gli elementi scenici presenti nel libretto nel modo in cui il pubblico si aspetta, rendendo la vicenda immediatamente e facilmente comprensibile, quindi godibile. Scarpia sfiora le labbra di Tosca, prima del Te deum chiuso da un tentativo di golpe: un giovane libertario lancia nella chiesa dei volantini rossi e un altro sventola una bandiera, subito aggrediti con violenza dagli sgherri di Scarpia. Nel secondo atto Sciarrone ha le braccia arrossate dal sangue di Mario, che ha colorato anche i fiori bianchi del bouquet di Tosca. Tosca pugnala una volta sola Scarpia in mezzo al petto e poi pare ordinargli verbalmente di morire. Nel finale Tosca è sul muretto oltre la grata, gli sgherri e Spoletta al di qua, a muoversi impotenti.
Daniel Oren affronta in modo interessante la partitura, i suoni sono roboanti ma curati e dettagliano sempre i sentimenti in modo da rendere palpabile e mai banale la tensione emotiva. Il direttore coglie e amplifica gli echi novecenteschi della partitura come la colonna sonora di un film che alterna guizzi e onde sonore ampie e distese, fondendo i momenti intimi con quelli più magniloquenti. Il coro è ben preparato da Piero Monti, come i Ragazzi diretti da Marisol Carballo.
Martina Serafin è una Tosca altera, di grande presenza scenica come una vera Diva, che l'abito rosso scuro rende ancor più seducente del rosso fuoco della prima edizione; alcune asprezze non intaccano la bellezza della voce. Promosso al primo cast dopo la rinuncia di Fabio Armiliato, Piero Giuliacci ha acuti non squillanti e una certa oscillazione insistente. Ha convinto lo Scarpia di Alberto Mastromarino, cattivo e fastidioso. Tra i comprimari il sagrestano vestito da prete di Angelo Nardinocchi, l'Angelotti agée di Carlo Striuli, lo Spoletta di Mario Bolognesi. Con loro Dario Giorgelè (Sciarrone), Vito Luciano Roberti (un carceriere) e Eleonora Ronconi (un pastore).
Pubblico numeroso e caloroso, nonostante l'allestimento sia stato riproposto tre volte in poco più di tre anni.