La prima assoluta di Tosca ebbe luogo nel teatro Costanzi di Roma il 14 gennaio 1900, su impianto scenico di Adolf Hohenstein (i cui manifesti liberty restano di una bellezza ineguagliata). Il teatro dell’Opera di Roma ne ha recuperato i bozzetti per riproporre quella prima Tosca, affidando a Ettore Rondelli la realizzazione delle scene.
Il primo atto è ambientato in Sant’Andrea della Valle: l’interno della chiesa è tipicamente ottocentesco, una navata unica vista nell’intersezione con il transetto; i pilastri addossati alle pareti sono sormontati da capitelli corinzi e intercalano tele senza cornice inserite direttamente nelle pareti; un cornicione sostenuto da mensole dorate corre tutto intorno in altezza e, otticamente, stacca il soffitto voltato a botte. Il secondo atto ha luogo a palazzo Farnese, nell’interno di un sontuoso appartamento con forte prospettiva in allungo. Praticamente due ambienti collegati da un paio di scalini, verso il palcoscenico il tavolo apparecchiato per la cena, indietro lo scrittoio. Le pareti sono foderate di velluto rosso, sulla destra un camino sormontato da una specchiera dentro una ricca cornice dorata; il soffitto ha medaglioni ovali dipinti con scene figurative, mentre sedie, poltrone e dormeuse sono tappezzati con stoffa rossa damascata in oro. Per il terzo atto l’ambiente è la terrazza di Castel Sant’Angelo: la costruzione in mattoni poderosa è sulla destra; in fondo, oltre la balaustra di muratura, si vede la cupola di San Pietro in Vaticano.
La regia di Mauro Bolognini, ripresa da Marco Gandini, è perfetta per l’operazione messa in piedi dal teatro: vengono seguite tutte le indicazioni del libretto, in modo da vedere, se così si può dire, l’originale, senza alcuna variazione. La storia dunque si dipana in modo chiaro e comprensibile, senza alcuna sorpresa: Cavaradossi dipinge nella chiesa e riceve la visita di Tosca, dopo avere scoperto l’Attavanti fuggiasco; l’arrivo di Scarpia sconvolge un piano ben congegnato; una folla che si raduna al centro della chiesa per cantare il Te Deum, mentre si diffonde (anche in platea) un intenso odore di incenso; il doppio incontro di Scarpia con Mario e Tosca nel suo ufficio che termina con l’omicidio; il finale con la finta-vera fucilazione e il salto della protagonista nel vuoto. Il pastorello si ode soltanto dalla terrazza del Castello, mentre passa con le pecorelle scampanellanti in strada. Parimenti in linea con le scene sono i costumi stile impero. Le luci di Mario De Amicis danno il giusto risalto alle scene e alle azioni dei cantanti.
Fabrizio Maria Carminati dirige efficacemente l’orchestra del teatro dell’Opera, dando forza al suono e, al tempo stesso, curando i molti fili musicali che si intrecciano, sottolineando i sentimenti e le atmosfere che la musica magistralmente esprime. Ovviamente la lettura musicale è al passo con i tempi odierni, attuale, equilibrata, forte dal punto di vista del volume ma con molta ariosità, riuscendo a evidenziare le cupezze e le trasparenze.
Nel ruolo del titolo Svetla Vassileva dimostra di volere spostare il suo repertorio dal leggero al drammatico: il temperamento non le manca e un uso sapiente del mezzo vocale riesce a colmare il fatto che la voce non particolarmente grande. La proprietà di accenti, l’attenzione ai colori e alle sfumature, l’abilità ad esprimere ogni palpito dell’animo di Tosca consentono alla Vassileva di imporsi sul palco, anche grazie a una recitazione attoriale curata in ogni dettaglio. Particolarmente suggestivo l’atteso “Vissi d’arte” sussurrato in punta di labbra, a cui segue un finale d’atto cupissimo, con la voce scurita nei toni nerissimi della disperazione.
Salvatore Licitra (Mario) ha voce potente, usata generosamente in una prestazione convincente; nel primo atto alcuni acuti sono sembrati poco a fuoco, ma nel terzo “E lucevan le stelle” è cantata con profondo sentimento e nuances coloristiche ad esprimere appieno l’interiorità di Cavaradossi, al punto che il pubblico chiede ed ottiene il bis.
Alberto Mastromarino, cantando Scarpia, è in uno dei suoi ruoli migliori: la voce è scura ed espressiva, la presenza incombente, tanto da impaurire con un solo gesto imperioso della mano. Angelotti è un altissimo Paolo Battaglia, dalla voce tenebrosa. Con loro il sagrestano di Giorgio Gatti, lo Spoletta di Mario Bolognesi e lo Sciarrone di Giovanni Guagliardo. Completano il cast Riccardo Coltellacci (un carceriere) e Marta Pacifici (un pastorello). Bene il coro del teatro dell’Opera diretto da Andrea Giorgi e il coro di voci bianche di Roma diretto da Josè Maria Sciutto.
Vivo successo da parte del folto pubblico presente per un classico più volte rappresentato (anche recentemente) sia al Costanzi che a Caracalla ma che, evidentemente, desta sempre interesse nella capitale, nel teatro dove Tosca ebbe il primo successo.
FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al
Costanzi - Teatro dell'Opera
di Roma
(RM)