Lirica
TOSCA

La “Tosca” di Puccini trova le giuste tinte nella rilettura di Carminati e De Ana

La “Tosca” di Puccini trova le giuste tinte nella rilettura di Carminati e De Ana

Tosca è una delle opere preferite dal pubblico, si sa. Quasi eccessiva è però la frequenza con la quale il Verdi la propone ai suoi abbonati: restando in anni recenti, nel 2008 nella rilettura scenica di Giovanni Agustinucci, e nel 2013 con le storiche scene di Hohenstein e la regia di Giulio Ciabatti. Tosca è anche uno dei titoli più amati da Hugo De Ana, che l'ha più volte affrontata: come in questa fascinosa versione pensata a suo tempo per Bassano e Padova, rassicurante per lo spettatore che vi ritrova tutto l'immaginario pucciniano (compreso ogni oggetto di scena citato nel libretto), nonché costumi sobri eppur elegantissimi, in un vero tripudio di ornato neoclassicismo. Edizione dal taglio cinematografico, per i filmati e le didascalie che - a mo' di pellicole mute - introducono i tre atti, e per l'ampio uso di accorte videoproiezioni per ricreare lussureggianti sfondi architettonici. Ma sopratutto per i meticolosi suggerimenti all'interpretazione, nella ricerca della massima verosimiglianza.

Una concertazione timida e rinunciataria
A fronte di tanta dovizia visiva, la direzione di Fabrizio Maria Carminati appare paciosa nell'insieme, ed un po' dimessa nella parte orchestrale. Precisa, senza dubbio, e particolarmente attenta in particolare nei confronti del canto, cui viene offerto un supporto ineccepibile. Ma resta modesta nel gioco delle dinamiche e nella tavolozza dei colori, refrattaria ai guizzi di fantasia, persino agli effetti che stanno scritti là sul pentagramma, ricco di sinuosità strumentali. E di conseguenza, ahimé, alquanto avara di emozioni..

Parliamo delle voci
Svetla Vassileva
centra la smaniosa passionalità di Floria Tosca – nella sua recitazione, mai gratuito un gesto o uno sguardo - ma vocalmente non si mostra al top. Gli acuti sono presi al volo, il registro medio-grave risulta un po' sfocato, e la voce in sé appare un tantino povera di spessore. Ciò non toglie che il suo «Vissi d'arte» è stato sciolto con buon effetto, e le ha meritato un lungo applauso della sala. Massimo Giordano – campano di nascita, triestino d'adozione – centra bene la giovanile esuberanza di Cavaradossi, per la leggerezza della linea vocale, ardente e maschia, ed il timbro lucente; ma si avverte in questa sua prestazione un certo abuso di suoni aperti, e la riserva di fiato non sempre garantisce di arrivare del tutto indenne alla fine del cimento. Angelo Veccia esprime magistralmente la violenta protervia e la perfida lascivia di Scarpia, senza eccessi da Grand Guignol, fornendo al suo personaggio una colonna di fiato salda e generosa – gli acuti baritonali non sono certo un problema - e sorretta da un fraseggio assennato; e nel parlato, così come nel canto di conversazione si muove da gran signore. Tra le parti di contorno, molto espressivo il Sagrestano di Dario Giogelè, deboluccio l'Angelotti di Zoltán Nagydel, Buona prova del Coro nell'impegnativo Te Deum.

 

Visto il 11-06-2017
al Verdi di Trieste (TS)