Lirica
TOSCA

Macerata, Arena Sferisterio, …

Macerata, Arena Sferisterio, …
Macerata, Arena Sferisterio, "Tosca" di Giacomo Puccini LA CITTA’ DEGLI ANGELI (NUDI) Ci sono regie che stravolgono i libretti e non rispettano le partiture musicali. I risultati sono diversi, dall’orribile Manon Lescaut messa in scena da Andreas Homoki con scena fissa e costumi di Wolfgang Gussmann, che ho visto (ben due volte!) due stagioni fa al Nationaltheater di Monaco di Baviera, all’eccellente La fille du regiment (regia di Emilio Sagi) prodotta dal Comunale di Bologna che ho visto a febbraio al Carlo Felice (la cui ripresa è stata trasmessa giovedì 28 luglio da Raitre). Nel primo esempio risulta addirittura fastidiosa la mancanza di corrispondenza tra quello che si ascolta e quello che si vede in scena; nel secondo l’opera, trasportata in Francia durante la seconda guerra mondiale, addirittura migliora, perdendo quell’atmosfera stantia e scontata da cartolina tirolese. E la Tosca dello Sferisterio di Macerata? Indubbiamente questa è la Tosca di Antonio Latella, non certo di Giacosa e Illica, uno spettacolo che non lascia indifferenti. E soprattutto che non convince. Ma, al di là della regia, di cui dirò in seguito e che comunque rappresenta un tentativo (non riuscito, ma apprezzabile) di fare qualcosa di diverso e di non convenzionale, la cosa più grave è il cast, pessimo, soprattutto il terribile Cavaradossi di Alberto Jelmoni, impossibile da commentare e da descrivere. Prestazione scadente anche quella di Alessandro Paliaga, perché il baritono non riesce ad immedesimarsi nel ruolo, di Scarpia non ha né la spietatezza né la cattiveria né la sfrontatezza e la voce non soddisfa sia per quanto concerne il cantato sia per quanto concerne il vibrato. Non convince neppure Francesca Rinaldi nel ruolo del titolo; la soprano ha un bel colore di voce e un notevole registro centrale, ma si perde quando scende di tono, ha un’emissione incontrollata nel registro alto e soprattutto ha un pessimo vibrato; comunque è una voce promettente. (Se i tre annuncianti protagonisti, la Marrocu, Mastromarino e Borin se ne sono andati o sono stati cacciati un motivo forse c’è). Tra i ruoli minori, si segnala la buona prestazione di Domenico Colaianni, nella parte del sagrestano. Il Maestro Carlo Palleschi ha diretto in modo disteso e un poco incolore la Filarmonica Marchigiana e in diversi momenti, maggiormente nel primo atto, ha dovuto rallentare l’esecuzione musicale per permettere al tenore di seguire la partitura, con un risultato assai fastidioso. La regia, allora. Dopo un Don Carlo in cui la regia era inesistente, una Tosca in cui la regia è troppo invasiva (nel terzo atto i rumori e le voci dei mimi coprono la musica!!!). Si vede da subito che Latella ha fatto un lavoro lungo e minuzioso, curando mille dettagli e presentando innumerevoli simboli, come suo solito modo di lavorare a teatro. Si vede però che ha pensato e realizzato una regia molto teatrale e poco lirica. Ma non basta. Anche perché non ha aggiunto nulla alla sua cifra stilistica. Il risultato è confuso e difficile da capire. Anche se non mancano immagini splendide, a cominciare dagli angeli e le loro ali bianche che amplificano ed evidenziano i sentimenti dei protagonisti. Poi la scena della tortura e Cavaradossi avvicinato a Cristo e alla sofferenza di ogni uomo, una Pietà dolente e dolorosa. E ancora la morte di Scarpia, forse la scena più bella e forte: “davanti a lui tremava tutta Roma” e appena morto gli angeli, trasformati in avvoltoi, divorano il cadavere, perché se il potere è esercitato con la forza e la paura, appena il tiranno muore i sottoposti si ribellano e … se lo mangiano, in senso simbolico e anche fisico. Ancora bellissimo nel terzo atto l’angelo della morte con le ali fatte di lame di coltello, nudo, raggelante, emozionante. Poi una lunga teoria di esagerazioni, per tutte (e su tutte) la Madonna che partorisce angeli nudi (peraltro immagine già sfruttata da Latella a teatro, vista ad esempio nella Tempesta con la Guarnieri), oppure gli innumerevoli bicchieri a simboleggiare uteri femminili, oppure la brutta scena della morte di Tosca, “shakerata” dalla Madonna nuda. La scenografia è essenzialmente costituita da un pavimento vetrato con pedane su cui sono appoggiati i bicchieri. Nel primo atto però c’è uno specchio su cui si riflette il ritratto che Mario sta dipingendo, fatto anch’esso di bicchieri colorati. Ebbene credo che tale immagine andava evitata, perché ricorda troppo da vicino lo specchio di Svoboda (senza esserlo) e proprio allo Sferisterio bisognava avere il buon gusto di ricordare ed evitarlo. I costumi sono contemporanei con vaghi richiami allo stile impero: bellissimo quello di Scarpia nel primo atto, un cappottone verde con lo strascico che fa un poco domatore. Il pubblico, silenzioso per tutto lo spettacolo, alla fine ha sommerso l’arena maceratese di fischi, coprendo così i pochi ed isolati consensi. . Visto a Macerata, Arena Sferisterio, il 23 luglio 2005. FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al Arena Sferisterio di Macerata (MC)