Parma, teatro Regio, “Tosca” di Giacomo Puccini
TOSCA IN BIANCO E NERO
La stagione del Regio di Parma si chiude con le sei recite di Tosca, già esaurite ancora prima del debutto. Una situazione ottimale, ma anche qui sembra pesare la scure dei tagli ai finanziamenti, seppure la forma migliore di protesta, con la concretezza padana, è quella di mandare in prova uno spettacolo praticamente perfetto dal punto di vista tecnico ed artistico. Così infatti si risponde a chi vuole togliere fondi alla cultura: mostrando il risultato, eccellente.
La regia di Joseph Franconi Lee (da un'idea di Alberto Fassini) è molto tradizionale, convenzionale nella gestualità e nei movimenti ma funzionale allo svolgimento della storia. La scala non aiuta la massa di coro e comparse nel “Te, Deum” ma per il resto c'è tutto ciò che il pubblico si aspetta.
Elemento unificante la scenografia (di William Orlandi, come i costumi stile impero) è un'ampia scala. Nel primo atto una cupola emiciclica (probabilmente un catino absidale) a fondo scena si riflette in uno specchio che occupa per intero la parete destra del palco, creando suggestivi effetti al muoversi di cantanti e comparse. Una tela enorme è appoggiata sulla scala e finge anche da piano di calpestio leggermente inclinato: Cavaradossi vi sta dipingendo la Maddalena, mentre una statua di Madonna in panni svolazzanti (invero anch'essa un dipinto bidimensionale) è illuminata da candele sopra l'ingresso della cappella Attavanti. La processione si svolge su di una passerella, visibile con un gioco di luci meriggiate all'interno della cupola, oltre un cielo di nuvole gravide di pioggia (le luci di Guido Levi contribuiscono in modo significativo con giochi di ombra, luce e riflessi) . Nel secondo atto una enorme deposizione dalla croce posizionata all'inizio della scala crea uno spazio raccolto con un tavolo ingombro di crocifissi e libri, apparecchiato su un lato per la cena di una persona sola. Tosca colpisce ripetutamente Scarpia col coltello da tavola, al petto, alla schiena, poi sul cuore. Nel terz'atto la scena è dominata da un grande angelo minaccioso con la spada in mano, che sembra liquefarsi sulla scalea come fosse cera. Tutti gli elementi scenici, come le stesse scene ed i costumi sono in bianco e nero (solo Tosca entra in scena in principio con un abito azzurro e poi con una stola rosso scuro).
Massimo Zanetti dirige l'orchestra del Regio con giusti tempi e ricchezza di colori, il volume è talvolta eccessivo e soverchia le voci. Il coro è ben preparato da Martino Faggiani, come le voci bianche curate da Sebastiano Rolli.
Micaela Carosi è una Tosca altera, bella come una statua di Canova negli abiti di Orlandi che ne sottolineano il fisico; la voce è chiaroscurata, facile all'acuto; “Vissi d'arte” ha una grande forza emotiva e profonda partecipazione. Alvarez cerca (e trova) da subito il sostegno ed il consenso del pubblico; la voce ha bel timbro ed è pulita in ogni registro. Marco Vratogna è Scarpia, imparrucato, simbolo del potere immoto nel primo atto, il cranio lucido nel secondo, ambiguo e cattivissimo, uno Iago rivisto da Puccini; la voce è morbida e ben usata ed il verso scandito in modo ottimale.
Il sagrestano di Matteo Peirone ha le guance rubizze e non disdegna il vino dal cesto del pittore e una presa di tabacco da fiuto. Alessandro Spina è un Angelotti giovane e stuntman, che si lascia rotolare dalla scala nella scena iniziale. Con loro Mauro Buffoli (Spoletta) e Gabriele Bolletta (Sciarrone e un carceriere).
Teatro esaurito, pubblico plaudente, soprattutto verso Alvarez.
FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al
Regio
di Parma
(PR)