Lirica
TOSCA

Roma, teatro Costanzi, “Tosca…

Roma, teatro Costanzi, “Tosca…
Roma, teatro Costanzi, “Tosca” di Giacomo Puccini TOSCA ALL'INSEGNA DELLA TRADIZIONE Tosca. Tosca e il Costanzi. Probabilmente, nell’anno dedicato alle celebrazioni Pucciniane, nulla era più scontato e atteso del titolo e della data di inaugurazione della stagione lirica del Teatro dell’Opera di Roma. È infatti noto che proprio in questo teatro il 14 gennaio di 108 anni fa veniva messa in scena per la prima volta Tosca, da allora divenuta una delle opere più rappresentative del melodramma italiano. Tosca. Tosca e Roma. Poche, pochissime opere si identificano con la città in cui sono ambientate come il capolavoro pucciniano. E Franco Zeffirelli, a cui è stata affidata la regia di questa produzione, ci restituisce Roma nella sua prorompente magnificenza barocca. L’interno di Sant’Andrea della Valle, lo studio del barone Scarpia, i bastioni di Castel Sant’Angelo, tutto, davvero tutto dell’allestimento, rispecchia fedelmente le dettagliate indicazioni del libretto di Illica e Giocosa. Ma tutto, davvero tutto di questa Tosca, rispecchia e ripete fedelmente l’allestimento che il grande regista fiorentino da almeno cinque lustri ripropone per i teatri di tutto il mondo. A cominciare dalle suore che, Angelotti presente in scena, si fanno il segno della croce con l’acqua santa, per continuare con il “Te Deum” maestosamente solenne e pervaso di odori d’incenso e prelati rosso porpora, per finire con l’imponente libreria e il grande camino acceso (a giugno!) nello studio del barone Scarpia: tutto è già stato visto e rivisto, tanto da renderci davvero arduo ritenere questa produzione un nuovo allestimento. Scelte registiche forse d’altri tempi, come ad esempio il ripetuto staccarsi con un paio di passi ed il venire al proscenio dei cantanti al momento di cantare la romanza o l’aria del momento. Scelte però assolutamente coerenti con quest’allestimento che incarna e restituisce l’anima più autenticamente nostrana e popolare del melodramma, e quindi di quella grossa fetta di tradizione musicale che sta alla base della nostra identità culturale. E perfettamente coerenti con le scelte registiche di Zeffirelli, sono i bellissimi costumi di Anna Biagiotti, a cominciare dallo splendido abito rosso con strascico che Tosca indossa nel secondo atto. Mario Cavaradossi era il tenore argentino Marcelo Àlvarez. Il suo, fin dal “Dammi i colori” è un Cavaradossi vibrante, pieno di slancio passionale, quasi veemente. Lo squillo è eccellente, il canto non è mai eccessivamente spianato, la pronuncia ottima. Ma il momento più atteso ed emozionante della serata è nel “Lucean le stelle”: il pubblico in visibilio ha acclamato il suo “eroe”, chiedendo con insistenza e ottenendo il bis. Ma il personaggio risulta alla fine poco delineato. Debuttava nel ruolo di Tosca il soprano austriaco (ma di origini italiane evidentissime) Martina Serafin. La sua è una Tosca fiera e mai remissiva. Vocalmente notevolissima, caratterialmente indomita. Ottimo il secondo atto nel quale è evidente lo studio e l’attenzione posto in ogni singola frase, mai banale ma sempre carica di intensità e presenza scenica. Una Tosca a tratti quasi verista (basti ascoltare come apostrofa in maniera disperata Scarpia: assassino!), vittima di una gelosia cieca (che le fa scagliare il ventaglio contro il ritratto della Attivanti), che tiene testa strenuamente al capo della Polizia papalina. Renato Bruson ci restituisce il suo personalissimo Scarpia. Un capo della polizia che è Barone non solo sulla carta, ma anche negli atteggiamenti e nella linea di canto, nobile ed insinuante al contempo. Certo il “Te deum” non è dei migliori, né tantomeno i momenti in cui la partitura richiede maggiore protervia consentono a Bruson, da pochi giorni 72enne, che non ha mai avuto nello squillo il suo cavallo di battaglia, di dare il meglio di sé. Qualche suono indurito è stato compensato dalla notevole presenza scenica e dal fraseggio, contraddistinto da una nobiltà di legato che ha consentito al baritono veneto di restituirci uno Scarpia che, specie nel duetto con Tosca, viene fuori psicologicamente come l’unico personaggio dotato di un reale spessore drammatico dell’opera. I comprimari si sono disimpegnati senza brillare particolarmente. L’Orchestra è stata diretta dal Maestro Gelmetti che ha anche inaugurato la sua ultima stagione da direttore musicale del Teatro dell’Opera della capitale. La direzione ha puntato a enfatizzare la solennità e la maestosità della Roma papalina. Tempi a volte dilatati e suono orchestrale opulento: questa scelta ci ha restituito in tutta la loro imponenza le parti che lo richiedono (tipo il finale del I atto), ma la massa sonora, a volte e specie nei momenti più concitati (la scena della fuga da Sant’Andrea di Cavaradossi e Angelotti, il repentino arresto di Cavaradossi dopo il suo veemente Vittoria! alla notizia della sconfitta austriaca a Marengo) è risultata eccessiva, finendo per coprire le voci dei cantanti. Questo allestimento a tratti è parso una lunga auto citazione, quasi un omaggio a sé stesso che Zeffirelli si è voluto concedere, ma, evidentemente questo il pubblico desiderava e si aspettava, a vedere i lunghi applausi finali (quattordici minuti). Visto a Roma, teatro Costanzi, il 14 gennaio 2008 Giuseppe Sapio
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