Puccini verista? Sì, ma sui generis. Al pari di Pascoli, Puccini è un poeta delle piccole cose, come quelle sublimate in Manon e Bohéme. Quindi con Tosca – l'opera che ha chiuso la Trilogia d'autunno del Ravenna Festival 2017 - coglie il nuovo alito dell'opera verista, certo. Procede però a modo suo, per osmosi, filtrando ed assorbendo solo quanto gli può servire per esprimere con attendibile verosimiglianza ogni genere di passioni e pulsioni. Senza mai cadere in eccessi inopportuni.
Sull'orlo del Novecento
Ecco il titolo dato a questa Trilogia, composta dai tre cardini del verismo musicale: Cavalleria, Pagliacci, ed appunto Tosca. La prima ad inaugurare, Tosca a sigillare l'ultimo decennio dell'Ottocento. Per metterla in scena Cristina Mazzavillani Muti – ideatrice dell'intera operazione – ha fatto ricorso alle consuete scenografie realizzate a mezzo computer da David Loom e Davide Broccoli, ed al sapiente light design di Vincent Longuemare. Un team affiatato, che ha fornito pertinente e suggestivo sfondo ad un regia avveduta ed intelligente, ed insieme emozionante e coinvolgente, tanto era carica di fantasia e di preziose invenzioni. Né va dimenticato Alessandro Lai, creatore dei bei costumi d'epoca.Immersi nella musica pucciniana
La direzione di Vladimir Ovodok non brilla forse per particolare inventiva – d'altronde s'è sobbarcato l'onere non indifferente di concertare tutti e tre i titoli, sommando nove recite consecutive – ma nondimeno il giovane direttore bielorusso mette in campo buona competenza ed alta professionalità. Bella pulizia di suono, distesa cantabilità, discorsività narrativa, sostegno sicuro agli interpreti; e l'Orchestra Cherubini lo sorregge con entusiasmo e discreta nitidezza.
Virginia Tola è Floria Tosca: si muove disinvolta in scena, canta con precisione con voce dalla tinta gradevole. Non palesa difficoltà negli acuti e risolve bene il continuo declamato. Ma, almeno per ora, non mi pare una Tosca completa, poiché resta “sotto” il personaggio, non fa scintille, non dona vere emozioni. Per Cavaradossi, Diego Cavazzin: un tenore che ha debuttato alquanto tardi, ma che sta rapidamente recuperando il tempo perduto grazie ad una forte personalità, ed una disponibilità vocale imperniata su ragguardevole ricchezza di colori, limpidezza di squillo, sicurezza d'intonazione. Il giovane Andrea Zaupa affronta qui per la prima volta la figura di Scarpia, dopo essersi sempre mosso nel repertorio belcantistico.
Un debutto interessante, che rivela buone doti drammatiche sostenute da una colonna di fiato copiosa, da un timbro fascinoso, da facilità ed incisività di fraseggio. Tutte doti che fanno intravedere una promettente svolta di carriera. Attorno sta un comprimariato così così: Giorgio Trucco (Sagrestano) Paolo Gatti (Angelotti), Filippo Pollini (Spoletta), Ion Stancu (Sciarrone). Solida prova del Coro del Teatro di Piacenza e delle voci bianche Ludus Vocalis nel poderoso Te Deum.