Lirica
TOSCA

Tosca alla finestra

Tosca alla finestra

In occasione della programmazione speciale per Expo 2015, in una Milano rovente per il grande caldo, la Scala alterna la ripresa di questa Tosca al nuovo Otello di Gioachino Rossini. Le scene di Richard Peduzzi hanno sempre la cifra distintiva dei muri di mattoni altissimi e con poche aperture e qui si confermano tali. Sant'Andrea della Valle è una struttura anonima, quasi archeologia industriale, pareti di mattoni dove si aprono tre “absidi” introdotte da arconi a tutto sesto che rendono piccolissime porte e finestre rettangolari. Palazzo Farnese è un salotto con un paio di divani, qualche sedia e un tavolino e una grande finestra rettangolare sul fondo. La terrazza di Castel Sant'Angelo è dominato dal vuoto oscuro, una struttura in mattoni è sulla destra, verticalizzata in una torre. Gli spazi sono sicuramente moderni, basti considerare le sedie a libretto, il pulpito di cemento e  le poltrone di design; invece rigorosamente napoleonici i costumi del premio Oscar Milena Canonero, poco appariscenti ma curati nei particolari. Le luci di Michael Bauer insistono sui protagonisti con l'occhio di bue, ma sembrano poco precise nell'afferrare i cantanti soprattutto nel primo atto.

La regia di Luc Bondy, ripresa da marie_louise Bischofberger, propone una lettura austera e minimalista, soprattutto attenta al gioco che si innesca tra Tosca e Scarpia; nel primo atto, a volte c'è poca attinenza tra canto e azione scenica me, rispetto alla precedente edizione, è ben risolto il secondo atto quanto a teatralità.
Il Te Deum è frontale, senza processione, con abiti sfarzosissimi e una statua della Madonna: Scarpia si avvinghia a lei quasi con brama lussuriosa dopo aver terrorizzato il vescovo. Il secondo atto si apre con tre prostitute coperte di veli e fiocchi per titillare i desideri erotici di Scarpia. Nel finale d'atto Tosca, dopo avere ucciso Scarpia con numerose coltellate al petto, sale sul davanzale, poi non scappa frettolosamente ma si allunga su un divano, stringendo in mano il ventaglio della Attavanti, pensierosa (fortunatamente evitati il crocefisso e i candelieri intorno al cadavere). Nel terzo atto Cavaradossi gioca a scacchi, mentre i soldati a carte in una situazione quasi da “deserto dei tartari”. Tosca si butta dalla torre rimanendo a mezz'aria, in volo, come un fermo-immagine cinematografico di grande effetto.

Carlo Rizzi dirige con mestiere sicuro ma senza particolari fuochi d'artificio, curando principalmente la componente sinfonica a volte col rischio di coprire un poco le voci. Nel ruolo del titolo il mezzosoprano Béatrice Uria Monzon non ha brillato in modo particolare, nonostante la piacevole presenza scenica e la verve attoriale: la voce non è grande e manca di temperamento, gli acuti non hanno luce e la bella pienezza del registro centrale non basta. Fabio Sartori è Cavaradossi dalla voce ampia, limpida e generosa. Scarpia è un personaggio particolarmente curato dal regista e Zeljko Lucic è giusto: emana fascino morboso e perverso che vive di impulsi sensuali muovendosi con fare lascivo e lussurioso; seppure la voce non è particolarmente profonda, il baritono è convincente. Bravi i comprimari: Alessandro Spina (Angelotti), Matteo Peirone (il sagrestano), Blagoj Nacoski (Spoletta), Franco Lufi (Sciarrone), Ernesto Panariello (un carceriere) ed Emma Gori (un pastore). Coro di voci bianche dell'Accademia del teatro alla Scala e Coro del teatro preparati entrambi bene da Bruno Casoni.

Visto il
al Teatro Alla Scala di Milano (MI)