Lirica
TOSCA

Tosca dai magazzini felsinei

Tosca dai magazzini felsinei

L’atteso ritorno di Tosca a Reggio Emilia, dopo 10 anni di assenza dalla stagione operistica, non ha deluso il folto pubblico che ha riempito il Teatro Municipale “Romolo Valli”. Tra i titoli pucciniani allestiti in questo teatro, Tosca si trova al terzo posto (dopo La bohème e Madama Butterfly), raggiungendo, con l’attuale, gli 11 allestimenti.
Tratta dal dramma storico La Tosca di Victorien Sardou - reso celebre dall’interpretazione che ne diede l’allora famosissima diva Sarah Bernhardt -, l’opera in tre atti di Giacomo Puccini su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica - che andò in scena il 14 gennaio 1900 al Teatro Costanzi di Roma - arriva sul palcoscenico in un nuovo allestimento diretto da Gianni Marras, diversamente da quanto previsto inizialmente (causa uno sforzo finanziario minore), adattato alla messinscena che fece per il Comunale di Bologna, nel novembre del 1999, Alberto Fassini, regista d’opera già allievo di Luchino Visconti, scomparso nel 2005, e con i costumi di William Orlandi, adattati da Paola Crespi.

Così scene e costumi escono dai magazzini del Teatro Comunale di Bologna e si ritrova la grigia scalinata sul fondo, sopra la quale s’inclinano grigiastre pale d’altare negli atti I e II, e davanti alla quale incombe, nell’atto III, l’angelo di Castel Sant’Angelo. Poco colore è portato dall’abito blu della protagonista e dalle tunichette rosse dei pueri cantores. Con grande rispetto della drammaturgia pucciniana, il lavoro registico di Alberto Fassini ambientava la vicenda in uno spazio che, pur mantenendo tutti gli elementi indispensabili del libretto (la statua della Madonna, il quadro della Maddalena, la porta nascosta che suggerisce immediatamente l’atmosfera cupa di Palazzo Farnese, l’angelo di Castel Sant’Angelo che diventa quasi una spada di Damocle), veniva tuttavia rivisto in chiave non oleografica. “Basandomi sull’idea originale di Fassini - così Gianni Marras spiega la sua regia, su libero adattamento dell’originale - che puntava non solo sul bianco e nero della scena ma anche suoi contrasti emotivi dei personaggi, ho voluto sottolineare con maggior evidenza lo spessore teatrale che c’è nel teatro e nella drammaturgia di Giacomo Puccini”.

Sul podio dell’Orchestra e del Coro del Teatro Comunale di Bologna debutta il giovane direttore Jader Bignamini. Formatosi professionalmente all’interno dell’Orchestra Sinfonica La Verdi di Milano, nonostante la giovane età si è già fatto apprezzare per il forte carisma e la personalità dirompente, che l’hanno portato in breve tempo a dirigere le più importanti orchestre italiane. Recente, e molto apprezzato, il suo debutto a Parma ad inaugurazione del Festival Verdi 2013 con la direzione del Simon Boccanegra di Giuseppe Verdi. La sua prova è eccellente. Il dominio tecnico, affinato in anni di assistenza a Riccardo Chailly, gli fa estrarre dall’orchestra e dal coro colori insospettati, controcanti dimenticati, echeggi di corno orgogliosi e perfetti. Una direzione teatralissima, ma non, come talvolta avviene, per un qualche semplice talento pratico nel gestire effetti e tempi drammatici; la sua è una visione molto più profonda, da musicista abile e intelligente che sa perfettamente come realizzare la visione drammaturgica dell’autore, rispettando stile e spirito della partitura con un gesto preciso e volitivo, sensibile e rigoroso. Conosce le ragioni della scena e del canto, che non risulta mai soverchiato dalla straordinaria cura strumentale, anzi, esaltato proprio perché iscritto in un disegno musicale perfettamente controllato. Il suo primo atto conosce la leggerezza dei momenti di commedia, ma senza calcare la mano sulla caricatura del sagrestano, sulle bizze gelose di Tosca o sulle monellerie dei cantori, bensì giocando di cesello sui colori, sui rubati, sui pesi, in modo da far risaltare ancor più – e senza dover ricorrere a effetti esteriori – l’attesa e infine l’ingresso di Scarpia. O, ancora, cogliendo una tensione severa, tagliente, in un crescendo davvero agghiacciante per un Te Deum fra i più impressionanti mai ascoltati, in tutta la sua tagliente monumentalità resa perfettamente da un coro che sprigiona timbriche che impietriscono.

Bella prova anche per i solisti, sicuri di una direzione e di un sostegno orchestrale di rara qualità. Il Cavaradossi di Massimiliano Pisapia parte un po’ sotto tono, con un timbro nella zona di passaggio abbastanza povero e un uso eccessivo delle mezzevoci che gli impedisce di far risaltare le finezze della scrittura pucciniana; si riprende poi, mostrando una voce generosa e sonora, italianissima, dal facile squillo e acuti solidi, ma rimane per tutta la recita carente di passionalità. Angelo Veccia ha invece tutto quello che serve per il suo ruolo: la nobiltà, la libidine, la violenza, l’insinuazione, la galanteria, il sadismo, la sottigliezza che, miscelati in dosi diverse a seconda della personalità dell’interprete, sono ingredienti imprescindibili per ogni Scarpia; la voce è quella giusta, baritonale, schietta e robusta, ed è chiaro l’impegno dell’artista per dare senso a ciò che canta, delineando un barone tutto d’un pezzo, implacabile, spietato e autorevole. Assolutamente di rilievo la Floria Tosca di Ainhoa Arteta, cantante cui non difettano lo smalto, il volume e la grinta, che regala un’interpretazione esemplare per drammaticità, giusto colore e spessore. Con una resa sicura e consapevole della diva romana e un uso sapiente di una voce dotata per corpo e proiezione sia nel cantato che nel parlato, il soprano basco incanta il pubblico, che avverte chiaramente ogni sfaccettatura del suo personaggio, le sue passioni, le sue debolezze, riuscendo a suscitare quella strana sensazione di reincarnazione, propria solo dei migliori artisti.
I comprimari sono tutti efficaci: l’Angelotti di Alessandro Svab, partecipe e intenso, l’impacciato ma mai ridicolo sagrestano di Alessandro Busi, lo Spoletta squillante di Cristiano Olivieri, stilizzato e puntiglioso, lo Sciarrone rigoroso e umano di Luca Gallo, granitico in superficie ma capace di sfumature accorate, e il Pastore di Valentina Pucci, tanto educata nel canto quanto spontanea nell’espressione.
Ottima infine la prova del coro, sia gli adulti, preparati da Andrea Faidutti, sia i fanciulli, guidati da Alhambra Superchi.

Teatro esaurito e pubblico entusiasta.

Visto il
al Municipale Romolo Valli di Reggio Emilia (RE)