Secondo allestimento in scena per il Macerata Opera Festival 2014 (repliche il 25 luglio e 3 e 8 agosto), Tosca vista da Franco Ripa di Meana diventa una sorta di Elina Makropoulos che attraversa indenne i secoli per rappresentare la forza e il coraggio delle donne nel confrontarsi con uomini che cercano (invano) di schiacciarle: non per caso il volto simbolo di questa edizione è Lucia Annibali che nel programma di sala scrive: “Io sono forte se mi voglio abbastanza bene per accettarmi così come sono, se riesco a offrire la mia autenticità all’altro senza lasciarmi condizionare, se riesco a non modificare ciò che sono nell’intento di accontentare chi mi sta di fronte. Essere quello che si è, semplicemente”.
I tre atti sono ambientati da Edoardo Sanchi in tre epoche diverse e successive: il primo alla fine del Settecento con evidenti rimandi alla rivoluzione francese, il secondo dopo il 1911 essendo completato l’altare della patria (l’occasione era il cinquantenario dell’unità d’Italia), il terzo alla fine degli anni Trenta nel pieno del fascismo e il finale al giorno d’oggi, un’istantanea di Roma vista dalla sommità di Castel Sant’Angelo che riporta la data del 19 luglio 2014. Gli abiti di Silvia Aymonino connotano maggiormente della scenografia le quattro età: il neoclassicismo, le epoche umbertina e mussoliniana, l’oggi. Invece Tosca indossa, dall’inizio alla fine, lo stesso abito lungo che lascia nude le spalle: è donna di oggi che attraversa, immutata e indenne, le epoche e le sopraffazioni di genere.
Non ci sono agganci precisi tra il libretto e quanto si vede in scena, mancano i soliti attrezzi (fiori, pennelli) e spesso si canta senza rivolgersi agli altri come invece il testo vorrebbe. Di particolare violenza il tentato stupro di Scarpia, a cui Tosca si oppone a colpi di pistola. Straniante il finale, con i coristi in abiti da vacanzieri di oggi, che attraversano il palco correndo: Roma aggredita dai turisti? Roma che cade a pezzi, come sembra ricordare l’impalcatura di tubi innocenti che, per i tre atti, regge un ramo di pino marittimo. Roma di lunghe e quasi immobili processioni che seguono diverse direzioni. Roma dei rastrellamenti di regime coi torturati che si contorcono come epilettici anche sui palchi laterali (usati più volte per esigenze sceniche). Roma assediata dal turismo di orde di stranieri (nuovi barbari?). Roma protagonista su tre enormi arazzi, fissati lungo un’asta metrica di quelle che si usano per misurare il livello del Tevere e che mostrano successivamente uno scorcio di rovine da Grand Tour, un frammento del Vittoriano, Castel Sant’Angelo dai murazzi del Tevere e il Vaticano da Castel Sant’Angelo. Cambiano, a seconda delle epoche, le splendide luci di Fabio Barettin: effetto d’epoca all’inizio, di taglio laterale nel secondo atto, chiaroscuro neorealista nel terzo e abbacinanti nel finale.
Eun Sun Kim, giovanissima e di minuta figura, seconda donna sul podio in questo festival, stacca tempi larghissimi non a vantaggio dell’esaltazione dei colori della partitura e togliendo quella tensione narrativa, verista e drammatica, che anche la regia fatica a rendere: Tosca è opera di straordinaria compattezza anche nell’ambientazione in poche ore e in luoghi limitrofi. In alcuni momenti invece il suono si fa serrato e quasi frettoloso, privilegiando la componente sinfonica a quella squisitamente lirica.
Susanna Branchini ha il compito di rendere una Tosca indipendente, sicura e dalla delineata personalità e lo fa in modo volitivo e scattoso; la voce, importante e venata da asprezze, rivela cura della dizione e controllo, nonostante qualche oscillazione. Luciano Ganci è un Cavaradossi sicuro e sprezzante e, pur forzando in qualche passaggio in alto, si è apprezzato per la morbidezza della voce. Marco Vratogna è uno Scarpia crudele e volgare, poco raffinato nei toni e nelle movenze, sorprendente nella deriva sadomaso. Adeguati Roberto Abbondanza (Sagrestano) e Massimiliano Catellani (Angelotti). Con loro Silvano Paolillo (Spoletta), Giacomo Medici (Sciarrone), Franco Di Girolami (Carceriere), Ilaria Frenquelli (Pastorello con capretto vivo in braccio) e il coro lirico marchigiano preparato da Carlo Morganti.
Lodevole l’iniziativa di aprire la prova generale del 16 luglio ai giovani con un biglietto simbolico. Tosca, negli anni, ha portato a Macerata voci indimenticabili: Raina Kabaivanska (presente in arena per la prima di stagione) nel 1968 e nel 1995 (anno della fucilazione “realistica” del Cavaradossi di Fabio Armiliato), Montserrat Caballé nel 1983, Eva Marton nel 1988. Si ricorda anche l’edizione con la regia di Antonio Latella nel 2005, particolarmente contestata dal pubblico che anche stasera si aspettava evidentemente un taglio maggiormente tradizionale nelle scelte registiche e scenotecniche per questa Tosca, donna che resiste indenne ai secoli e agli assalti degli uomini, attraversando gli uni e gli altri e restando in scena sola mentre guarda il pubblico negli occhi quasi a sfidarlo: Elina Makropoulos era stanca e invocava la fine, Tosca è forte e indomita, innervata da rinnovato vigore, una Tosca che non pensa affatto a suicidarsi ma che da quel terrazzo su Castel Sant'Angelo scatta una foto alla città eterna.