Ridurre Tosca, opera in sé perfettamente congegnata in cui tout se tient, a uno spettacolo ricco di incoerenze, a tratti noioso, fra splatter e noi è impresa davvero ardua, che però riesce al Filarmonico di Verona con la regia di Giovanni Agostinucci.
Le incongruenze della regia.
Al levarsi del sipario la scena appare ingombra da una serie di drappi azzurri svolazzanti che celano le architetture di Sant’Andrea della Valle, svelate solo al momento del Te Deum. Il dipinto cui lavora Cavaradossi pende dall’alto; Cavaradossi stesso, che tra l’altro ha la bella idea di conversare con Angelotti in presenza di alcuni aiutanti che poi lo denunceranno, si prenderà la briga di sollevare e ricalare più volte nella posizione originale il suo dipinto, dovendo per questo uscire di scena senza una scusa apparente. Il primo atto termina poi con una simbolica ostensione, non del Sacramento, bensì di Scarpia che si leva sugli astanti grazie a una pedana mobile, quasi a ricordare una statua processionale.
Il gusto per il truculento, presente nel secondo atto, rischia però di degenerare nel comico e non abbandona lo spettatore nell’ultimo atto, nel quale Cavaradossi viene fucilato mentre è nascosto da un torrione del castello per poi essere riportato in scena da due comparse che lo ‘sbattono’ letteralmente contro il muro così che, cadendo, possa lasciare una scia di sangue impressa contro di esso. Tosca, alla vista, cerca di buttarsi dagli spalti del castello ma, con un repentino ripensamento, si getta sulle baionette dei soldati che la inseguono.
Una Tosca vocalmente non coinvolgente.
Lilla Lee è una Tosca non particolarmente coinvolgente sul piano interpretativo durante primo atto, più credibile invece negli altri due, dotata di una voce che sbianca leggermente nell’ottava inferiore, ma sostanzialmente più che corretta. Decisamente meno a fuoco il Cavaradossi di Mikheil Sheshaberidze: l’intonazione è talvolta precaria, le note gravi sono scarsamente udibili e il passaggio di registro non risulta ben gestito. Boris Statsenko è uno Scarpia brutale, dai tratti quasi demoniaci, caratterizzato da una vocalità di rilievo, gestita con una certa maestria. Molto buono Mikheil Kiria nei panni di un Sagrestano che esce dai canoni tipici della macchietta. Con loro: Antonello Ceron è Spoletta, Andrea Cortese è Sciarrone, Daniele Cusari è un Carceriere e Stella Capelli è il Pastorello.
Ottima la direzione.
Antonino Fogliani spicca su tutto e tutti. Il gesto deciso, il suono rotondo, le dinamiche estremamente variegate danno uno slancio lirico, ricco di preziosi colori, al dramma. Buona la prova del Coro.