Lirica
TOSCA

Tosca: Roma antica sotto luci caravaggesche

Tosca: Roma antica sotto luci caravaggesche

Una spiccata matrice pittorica che ha attinto a piene mani a Caravaggio e Delacroix ha caratterizzato la regia di Elena Barbalich del capolavoro pucciniano Tosca, ripresa dell'allestimento della Fondazione Lirico Sinfonica Petruzzelli e Teatri di Bari, al debutto stagionale nel Teatro Grande di Brescia. Della regista ha colpito il sapiente uso dei mezzi teatrali e l'altissima competenza tecnica (necessitante di uno staff di maestranze all'altezza) come oggigiorno si va ahinoi perdendo. Barbalich ha attinto alla tradizione con intelligenza, riconvertendola in stile snello e ritmo scorrevole, molto moderni. Finestre che si sono aperte e chiuse su veri e propri quadri viventi, come quello servito a sottolineare fin dall'incipit il clima di terrore, raffigurante un cippo per flagellazione; lo stesso dove in seguito verrà legato e torturato Cavaradossi e che nell'ultima scena accompagnerà il suicidio di Tosca. Tinte cupe, forti e decise; penombre tagliate da lame di luce di grande bellezza (luci di Giuseppe Ruggiero). Scenografie (di Tommaso Lagattolla, come i costumi) mutevoli in più che perfetta rispondenza musicale (a ciò va il nostro più entusiastico plauso), con una velocità fulminea che ha contribuito al crescendo esponenziale del pathos. La Chiesa di Sant'Andrea della Valle nel prim'atto, grazie ad una moltitudine di sipari e tulle che hanno accolto videoproiezioni (di Nicola Di Meo), ha svelato piccole cappelle con ceri votivi, moltiplicato i colonnati, ingigantito gli spazi, intorbidita progressivamente l'aria. Alla Roma napoleonica descritta nel romanzo di Sardou e nel libretto di Illica e Giacosa, Barbalich ha sovrapposto la Roma antica, con il suo imponente carico di simbologie. Ecco allora che la (sovraffollata) processione del Te Deum si è svolta sotto un arco di trionfo sormontato da un bucranio. Un altro era poggiato sulla greppina nello studio di Scarpia in Palazzo Farnese, e una fila di codesti fregi ornava come nell'antichità l'ara sacrificale sulla quale si è accasciato Cavaradossi dopo la fucilazione. L'uso aberrante del potere esercitato dal Capo della Polizia Pontificia, che ha banchettato usando come stoviglie alcuni arredi sacri (invero idea già vista, per quanto sempre efficace), ha affondato le radici nella cultura di quella parte di oriente che venne inglobata nell'impero romano, secondo la quale le corna (del bucranio per l'appunto) erano simbolo di pienezza, di forza e autorità ed erano attribuite a figure mitologiche e divinità; pertanto se ne fregiavano eroi e guerrieri, ai quali questo Scarpia, in delirio di onnipotenza, si è rapportato. All'epoca dei fatti, alla caduta della prima Repubblica romana nel 1800, la Città eterna doveva avere l'aspetto descritto nel terz'atto, tra monumenti marmorei a pezzi e statue sbilenche di imperatori, emblemi di una grandezza in rovina direttamente ricollegabile all'imminente fine dell'egemonia del Barone; che ha reso le morti dei due protagonisti, avvenute tra sagome di gendarmi in controluce e senza volto, tanto più strazianti perché ormai inutili.
Mirjam Tola, soprano dall'apprezzabile timbrica vigorosa capace di improvvise morbidezze, non sempre di sicura potenza. Totalmente concentrata sulla vocalità sottovalutando l'interpretazione, ha tratteggiato una Floria Tosca algida e distaccata sia musicalmente che scenicamente. Non con  il solo sguardo ma con l'intero viso  perennemente rivolto al direttore, ha stentato a dare vita ai sentimenti contrastanti che si accavallano nell'animo della tragica eroina. Rubens Pelizzari, Mario Cavaradossi ha meritatamente riscosso autentiche ovazioni per la grande naturalezza negli acuti unita a quello che comunemente si dice "fiato da vendere". Voce di limpida rotondità, genuina, capace di slanci passionali, con qualche lieve titubanza di intonazione. Discretamente convincente nella recitazione. Nonostante richiesto con insistenza, è stato negato il bis di E lucevan le stelle. Sebastian Catana (al posto dell'inizialmente annunciato Leonardo Lopez Linares) dalla voce asciutta, discreta benché meno corposa di quanto il ruolo richiederebbe, presentante colore ma non calore. Ha puntato tutto sulla cinica freddezza del Barone Scarpia, sottacendo le altre sfaccettature proprie del personaggio. Ad esempio l'aver condotto senza parrucca, gettata sul tavolo, l'interrogatorio-seduzione di Tosca, ne ha fatto una figura priva di quei modi raffinati e di quella cultura che reca seco un inquietante fascino noir. Per "ghermire" la sua "preda" non ha fatto ricorso ad armi di seduzione, limitandosi ad una troppo semplicistica coercizione. Ziyan Atfeh stanco e prematuramente vinto Angelotti, possiede una vocalità corposa, solo poco appannata nello  smalto. Paolo Maria Orecchia dopo un esordio leggermente forzato ha sostenuto una prova notevolissima nelle vesti del Sagrestano, una volta tanto ben dosato e non caricaturale. Baritono meritevole di ruoli più importanti. Completavano il cast Paolo Antognetti, Spoletta uso a qualche "spinta" di troppo, Daniele Cusari, Sciarrone e Carceriere infine Luisa Bertoli, voce fuori campo del Pastorello. Una lieve incertezza di coesione durante il Te Deum tra il Coro del Circuito Lirico Lombardo diretto da Antonio Greco,  il Coro  di Voci bianche dell'Istituto superiore di studi musicali "Monteverdi" di Cremona diretto da Hector Raùl Dominguez e l'Orchestra de "I pomeriggi musicali di Milano". Quest'ultima, pur tra qualche minimo incidente di percorso, sotto la bacchetta di Giampaolo Bisanti ha seguito una linea musicale spaziante tra begli slanci di epica irruenza e delicate aperture liriche; dalla quarta fila di platea dove ci trovavamo, entrambi apparsi fin troppo generosi nei volumi, come nell'incipit del terzo atto. Tempi dosati per favorire al meglio gli appoggi delle voci, attentamente indirizzate da gesti ampi e precisi.
Teatro esaurito in ogni ordine e pubblico molto partecipativo.

Visto il 07-10-2012
al Grande di Brescia (BS)