Verona, Arena, “Tosca” di Giacomo Puccini
TOSCA ASSUNTA IN CIELO
Il festival areniano 2008 non presenta nuovi allestimenti, tranne un'Aida ispirata all'edizione del 1913. La Tosca di De Ana (autore di regia, scene, costumi e luci), grande successo degli anni scorsi, è uno spettacolo bello, sontuoso e di forte impatto teatrale, non segnato dal trascorrere del tempo. L'allestimento rispetta l'epoca storica ed il luogo. Parte da un simbolo, l'angelo di Castel Sant'Angelo, amplificato a dismisura; il palcoscenico è infatti dominato da una enorme testa e da un braccio la cui mano regge un pugnale, colossali e bronzei, che si stagliano davanti un muro scuro, il coperchio di un forziere, borchiato e metallico, o un lato di baule che rivela talvolta finestre a botola a mostrare, tra specchi e metalli, vescovi con facce di scheletri e carcerati maltrattati, l'altra faccia del potere. Ai lati cannoni e barricate, le cose della guerra, sempre presente.
A un sontuoso apparato scenico, che ancora affascina il pubblico, corrisponde una recitazione convenzionale, con gesti poco incisivi per la drammaticità della vicenda (ad esempio: dopo avere accoltellato Scarpia, Tosca si terge la fronte dal sudore, si netta le mani con uno straccio e spegne le candele). Comunque uno spettacolo che coinvolge e convince.
L'epoca è quella napoleonica che Roma vive con fasti paragonabili al barocco. Impressionante la scena del “Te deum” con un lungo corteo di vescovi sontuosamente abbigliati ma con le facce scheletrite, mentre altri vescovi-mummie si sporgono da nicchie aperte in alto nella parete-forziere, una scena di grande effetto.
Mobili ricreano l'ambiente dello studio in palazzo Farnese, dove Tosca, spinta all'estremo dall'atteggiamento di Scarpia, trova casualmente un pugnale e matura la decisione dell'omicidio durante un primo, blando approccio.
All'inizio del terz'atto il grande braccio, prima appoggiato sul gomito con la mano in alto a stringere un pugnale, cala sul palcoscenico. Il pastorello è un pescatore che dondola le gambe nella buca dell'orchestra. Mario viene appeso ad una croce e lì fucilato; il richiamo alle storie sacre è anche nel finale, con Tosca che stringe in mano una croce, in piedi sopra la testona davanti al buio del cielo notturno, un'assunzione profana in nome dell'amore che la morte ha cancellato.
Protagonista assoluta è Daniela Dessì: negli acuti emerge il passato belcantista, il grave è ben solido ed il centrale rotondo e sonoro. Con grande generosità concede il bis di “Vissi d'arte” e la seconda volta è addirittura meglio della prima, ancora più dolorosa e tormentata, con voce chiaroscurata e di un'intensità emozionante.
Carlo Ventre ha voce adatta, seppure con velature e la tendenza ad allargare i tempi. Alberto Mastromarino da tempo frequenta e con successo il ruolo di Scarpia; qui è sembrato meno efficace di altre volte. Insufficiente il sagrestano di Fabio Previati, deboli lo Spoletta di Antonio Feltracco e l'Angelotti di Elia Todisco. Buona la prova del pastorello-pescatore, Ottavia Dorrucci. Il carceriere è Dario Giorgelè.
Giuliano Carella ha diretto con tempi giusti ed attenzione alle sfumature l'orchestra dell'Arena, ottenendo volumi equilibrati; coro preparato da Marco Faelli, coro di voci bianche diretto da Paolo Facincani.
Molti i posti vuoti ma pubblico calorosissimo, soprattutto con la Dessì. Successo pieno.
Visto a Verona, Arena, il 04 luglio 2008
FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al
Arena
di Verona
(VR)