Quando il sipario del Teatro Sala Umberto si apre sulla scena del primo atto di “Trappola Mortale”, il pubblico rimane stupefatto e rapito, prima ancora che il protagonista Sydney Bruhl, interpretato da Corrado Tedeschi, proferisca una battuta: la scenografia di grande impatto visivo, che riproduce gli interni di un antico casale di campagna, costruita in legno su due livelli, è realizzata con minuzia di dettagli che è raro, ormai, trovare nelle rappresentazioni dei teatri della Capitale.
Tra scrivanie e divani, circondati da pareti e librerie colme di volumi enciclopedici, davanti al caminetto verosimilmente acceso, si svolgono le prime conversazioni tra il famoso scrittore di gialli, ormai privo di ispirazione, la cui mente ragiona a grande velocità e con lucidità agghiacciante e la moglie Maira - Miriam Mesturino – donna apparentemente fragile e nevrotica, impaurita ed al tempo stesso affascinata dalla sete di successo e di ricchezza del coniuge.
Il ritmo perfetto di Corrado Tedeschi, una vera “macchina” sul palco, garantisce fin dalle prime scene la giusta suspense ma a completare e contrapporre la razionalità spietata e la calma disarmante di Sydney Bruhl interviene il personaggio di Clifford Anderson, più imprevedibile e colorito. Ettore Bassi ne presenta un’interpretazione brillante, illudendo e confondendo il pubblico nell’alternanza tra atteggiamenti emozionati da “ingenuotto” e veri e propri deliri di onnipotenza.
La scena si popola di figure che contribuiscono al crescendo di tensione emotiva: magnifica, nella sua spontanea simpatia, Silvana De Santis nei panni della singolare vicina di casa/veggente; col suo buffo linguaggio ed i giochi di parole offre lo spunto per qualche inaspettata battuta che sdrammatizza la suspense e strappa al pubblico una risata. Si incastra perfettamente nel ritmo incalzante del giallo anche la breve apparizione di Giovanni Argante, impeccabile nel ruolo dell’avvocato di Sydney Bruhl.
Grazie alle indovinate scelte registiche di Ennio Coltorti, indipendentemente dalla durata della presenza sul palco dei vari personaggi, tutti risultano accattivanti e fondamentali affinché il meccanismo di continue finzioni e rivelazioni - che fa di volta in volta nuove vittime e carnefici - funzioni correttamente e l’attenzione del pubblico rimanga catturata dall’inizio alla fine della performance.
Il testo dello statunitense Ira Levin, rappresentato per la prima volta nel 1978 e trasformato in film nel 1982 (protagonisti Michael Caine e Christopher Reeve), rivive in questa nuova edizione, prodotta da Gianluca Ramazzotti per ARTÙ, aggiornata nel linguaggio da Luigi Lunari, che lascia spazio alla tecnologia: computer al posto delle macchine da scrivere, chiavette usb, telefoni cordless e cellulari. Ma ci si accorge di come neanche il progresso possa “salvare” da trappole come quella della situazione presentata. Le varie possibilità di commettere un omicidio vengono esplorate fin quasi all’esasperazione, lasciando emergere una sorta di analisi del giallo come genere letterario.
Laura Mancini