Alessandro Bergonzoni, dall’alto della sua “pensostruttura”, osserva, fotografa e descrivere l’umanità con giochi di lingua rocamboleschi. Una comicità sottile, invita a riflettere sulle parole.
Dietro il nuovo sipario Applausi di Aldo Mondino, realizzato nel 2005 per il teatro Obihall di Firenze, Alessandro Bergonzoni dall’alto della sua “pensostruttura” – un ponteggio in metallo su sfondo rosso– osserva, fotografa e descrivere l’umanità con giochi di lingua rocamboleschi.
Dedalo di parole
Strutturato in vari momenti, Trascendi e Sali si apre con una salita, prosegue con una discesa incerta e si sofferma a lungo al centro della scena. Dapprima lo spettatore ascolta il monologo e vede solo i passi dell’attore bolognese che si muovono in un andirivieni frenetico, come frenetici sono i suoi divertissement linguistici, poi le sue riflessioni ad alta voce prendono volto e palpita l’invenzione narrativa di una parola sfuggente.
Difficile cogliere il nesso tra il dedalo di frasi. Come in altri spettacoli di Bergonzoni, la trama si è rotta contro la superficie spessa del reale: frantumi più leggeri, altri più pesanti, altri più appuntiti colpiscono lo spettatore che si diverte a rimettere insieme i pezzi della narrazione, spesso riferita a urgenti temi sociali (Regeni, Cucchi, immigrazione, inquinamento) con la stessa vivacità lessicale.
La risata occupatoria
Bergonzoni stesso dichiara che “la sua risata ha smesso di essere liberatoria ed è diventata occupatoria. Non possiamo lasciare la trascendenza al Papa, la condivisione ai social”. Trascendi e sali diventa un’esortazione a trascendere, elevarsi, una trascendenza kantiana che sottolinea le capacità di conoscenza a priori che si mettono in moto davanti al fenomeno, all’oggetto empirico della realtà. L’uomo è in pericolo o l’uomo è un pericolo?
Attenti, dice l’attore bolognese, lancio un’opa, ho paura, ma il timore non deve paralizzare, perché l’essere qui equivale all’unicità del momento, all’esserci per una presenzialità attiva. È un messaggio che Bergonzoni lancia da anni, disseminato nei vari spettacoli (Muovi, tocca a te! Discorso della torre ai pedoni che attraversano i mondi) o negli articoli di quotidiani e settimanali, soprattutto in merito alla violenza sui corpi, richiamandosi soprattutto alla questione dei migranti.
La sua perfomance si ripete secondo uno schema fisso: l’assurdità della verve parolistica impegna lo spettatore in una comicità sottile, invita a riflettere sulle parole, sulla cristallizzazione di modi di dire, sull’assuefazione al linguaggio incolore con cui comunichiamo: una tastiera predefinita che compone frasi usurate.
Dall’alto si osserva, dal basso si abita nell’epoca del Risarcimento a favore di una “chirugia etica per rifarsi il senno”.