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TRE SORELLE

Tre sorelle sotto un manto di speranze

Tre sorelle sotto un manto di speranze

La corposa rassegna dedicata dal Napoli Teatro Festival Italia 2014 alle più celebri opere di Anton Cechov offre l’occasione unica di assistere alla messa in scena di uno dei suoi capolavori in lingua madre ad opera di un regista ed una compagnia russa. E’ questo clima di entusiasmo culturale che ci conduce ad assistere alla prima di “Tre sorelle”, in una sala, quella del teatro Mercadante, ricca della calda accoglienza che la comunità russa napoletana ha voluto tributare, accorrendo numerosa, ad uno dei suoi più acclamati, anche a livello internazionale, artisti contemporanei: Andrei Konchalovsky. Artista eclettico, di formazione cinematografica, con incursioni fortunate anche nelle produzioni hollywoodiane, ritorna al NTFI dopo il successo riscosso dalla sua “Bisbetica domata” andata in scena la scorsa edizione.

Al centro del racconto di “Tre sorelle”, le figlie di un generale da poco deceduto: Maša, sposata a un professore che non ama; Ol’ga, insegnante di liceo ed Irina, la più giovane e bella. Con loro vive il fratello, Andrej, ragazzo dotato di grande cultura, candidato ad un futuro da brillante intellettuale. Le tre sorelle sognano di trasferirsi a Mosca per sfuggire alla soffocante vita di provincia. Tuttavia il destino infrangerà le loro speranze di amore ed emancipazione.

La vita dei protagonisti e di tutti i personaggi che fluttuano intorno alla loro esistenza è cristallizzata in un eterno ricordo ed anche la speranza di un futuro è legata inestricabilmente all’idea di una felicità provata, forse solo nel passato. Le loro volontà sono perennemente enfiate da un’illusione che li erode nel profondo dell’individualità, trasmutandoli in piccoli automi. Resta pertanto intensa l’emozione che ci dona la regia, trasponendo l’azione in uno spazio modulare, con pareti e padane mobili, che dislocano i movimenti scenici all’interno di una vera e propria “casa di bambole”. Ritorna l’intuizione nel saper rappresentare questo sterile universo come un’utopica isola di speranze, ormai infrante, quando la neve scende finta e lenta fluttuando come quella che si può guardare in quei malinconici e dozzinali souvenir a forma di sfera di cristallo. Dalla vita che si prospetta loro, non c’è via d’uscita e poco conta l’ottimismo per il futuro su cui filosofeggia il barone Tuzenbach, la cui fine sarà poi banalmente legata ad un duello nato da futili motivi.

Intenso è lo spasmo dei nervi di queste esistenze così ben ritratte. Valga per esempio la scena in cui Irina si arrende all’idea di una vita legata ad un uomo che non ama e ad un futuro senza le speranze giovanili. Batte e sbatte, più e più volte, contro le ante dell’armadio, che più avanti si rivelerà pieno di abiti ed oggetti vecchi ed inutilizzati, e ci si rifugerà infine con il più connaturato gesto infantile.
Infine Čebutikyn, dottore in medicina che più di tutti poteva condurre un vita gratificante e piena anche nell’interesse del bene comune, è totalmente appiattito dalla monotonia della provincia. Legge e rilegge riviste, trascorre i suoi giorni a ubriacarsi e lascia morire per una sua negligenza l’unica paziente affidatagli negli ultimi vent’anni. E’ su questo personaggio, di inadeguatezza alla vita oltremodo manifesta, che Konchalovsky concentra in più attimi la sua e la nostra attenzione puntando sul suo volto, vinto e spaesato, un’algida luce bianca.

L’opera messa in scena risulta pertanto ricca di una sensibilità artistica di difficile comparazione, forse troppo diluita in una pièce di così lunga esposizione, ma capace di orchestrare mirabilmente i toni farseschi dei primi atti con la cupa rassegnazione dei successivi, grazie ad una mirabile compagnia di attori. Purtroppo l’ambizione di Cechov, per sua stessa ammissione all’amico Stanislavskij, di realizzare un vero e proprio vaudeville - grossa fu la sua delusione nel trovare sulla locandina dell’opera l’aggettivazione drammatica – resta ancora una volta vana. La messa in scena di Konchalovsky seppur ritmata da un triste piano, suonato a turno dai protagonisti, è soprattutto un dramma; il dramma dell’impossibile, dell’irrealizzato, dell’incompiuto.

Infine sono da ritenersi totalmente decontestualizzati e pertanto superflui, gli inserti documentaristici che accompagnano i due cambi di scenografia - a scena quasi aperta - proiettanti su di un velatino le riflessioni umoristiche degli attori circa i personaggi da loro stessi interpretati e sulla figura di Cechov quale autore. Dinanzi a quanto suddetto l’adozione di una multimedialità utilizzata con obsolescenza è forse solo un elemento di troppo; di quel troppo a cui si può volentieri rinunciare.

Visto il 13-06-2014
al Mercadante di Napoli (NA)